Considerato tra i maggiori scrittori africani viventi, romanziere, saggista, drammaturgo, è stato Ngugi Wa Thiongo – kenyota, classe 1938 – l’autore che ha inaugurato l’edizione 2012 di Festivaletteratura a Mantova. Capace di esplosiva denuncia politica, più volte candidato al premio Nobel, Ngugi è, insieme ai nigeriani Chinua Achebe e Wole Soyinka, tra i massimi esponenti viventi di quella complessa avanguardia che, solo approssimativamente, può essere descritta come «letteratura africana postcoloniale».
Già Premio Nonino nel 2001con Un chicco di grano -le sue opere sono tutte uscite in Italia per i tipi di Jaca Book e di recentissima pubblicazione è l’autobiografia in forma di romanzo, Sogni in tempo di guerra- Ngugi Wa Thiongo ha voluto aprire il suo confronto con il pubblico mantovano proprio ricordando alcuni degli episodi più salienti del suo memoir appena arrivato in libreria. Il tempo di guerra evocato è quello del secondo conflitto mondiale che ha segnato gli anni dell’infanzia dell’autore. Periodo di cui, ancora, non si è scritto tutto. “Quando si legge la storia di quella guerra ancora osserviamo che l’Africa è come se non avesse partecipato –ha detto Ngugi. E’ incredibile che in molti libri di storia non vengano menzionati i milioni di soldati africani caduti un po’ su tutti i fronti. E’ importante ricordare che l’Europa moderna non esisterebbe se non ci fosse stato il colonialismo. Anzi, non esisterebbe il mondo moderno tutto, senza quell’evento luttuoso”. Anche ai nostri giorni, peraltro, secondo Ngugi permane una rappresentazione dell’Africa, nei media, ancora deleteria. “In televisione vediamo sempre bambini affamati –ha detto alla platea mantovana , visi piangenti. Si dimenticano la nostra grande civiltà, le città moderne come Mombasa o Malindi, per restare al Kenya. Ma l’Africa non è un continente che chiede l’elemosina. L’Africa è un continente che ha dato, che oggi offre ancora grandi risorse: oro, diamanti, zinco, uranio, petrolio. Quindi tutto è da cambiare. Dobbiamo renderci conto che va ripensato e immaginato un nuovo rapporto con l’Africa”.
Discutendo con la platea di Festivaletteratura, Ngugi Wa thiongo ha poi messo in rilievo alcuni dei temi che da sempre innervano il suo lavoro letterario: il fascino per la parola e per il racconto, la suggestione ricevuta da bambino in favore della cultura orale, l’amore per una cultura olistica ma non globalizzata, il desiderio d’indipendenza e la contestazione di ogni colonialismo. “Io sono cresciuto intorno al fuoco, la sera, ascoltando storie. Il racconto orale ha segnato la mia vita fin da piccolo. Solo poi ho scoperto i libri e, come dice l’inno Amazing Grace, “ero cieco e ho imparato a vedere”. Il mio primo libro è stato la Bibbia che leggevo come serbatoio di miti. Anche oggi penso che il Libro sia molto di più che un testo religioso. Poi sono arrivati Stevenson, Dickens, ecc…
Ngugi, celebre anche perché nel corso della sua esperienza letteraria ha rinunciato a scrivere in inglese per tornare alla nativa lingua gikuyu (solo successivamente egli traduce, di persona, i propri volumi in inglese) ha poi ribadito con forza questa sua personale scelta:” In Africa, in ogni paese, si parlano molte lingue. Gli africani scrivono in inglese ma…questo è dovuto alla storia coloniale. Anche dopo la fine del colonialismo le lingue europee, nei diversi stati, sono rimaste come la lingua del potere. Ma tutto quello che io devo ribadire è che le lingue sono come i fiori. Nessuna lingua è migliore di un’altra. Ognuna ha una sfumatura diversa. E Dante non ha perso nulla quando ha scelto il volgare rinunciando al latino..”.
A conclusione dell’incontro l’autore ha tenuto a ringraziare i numerosi partecipanti e ha offerto anche qualche considerazione sul futuro del continente nero:” Gli africani combattono vestiti di stracci ma hanno armi modernissime. Come mai? La soluzione dei problemi africani sta in Africa. Se un ladro ti entra in casa è bene fare qualcosa per fermarlo. La mia scelta di tornare a scrivere nella mia lingua risponde anche a questo”.
Fonte: MAVICO