
Autore: Lagioia Nicola
Data di pubbl.: 2014
Casa Editrice: Einaudi editore
Genere: Romanzo
Pagine: 411
Prezzo: 19,50
Con tre ristampe in un solo mese, La ferocia di Nicola Lagioia si propone contemporaneamente come un successo di pubblico e un caso editoriale. E non mancano certo i meriti. Recuperando, infatti, lo sguardo d’insieme del romanzo, non più inteso come assemblaggio di segni, bensì esso stesso segno tout court, l’autore percepisce e asseconda il lento ̶ ma inarrestabile ̶ scivolare dell’anima dall’uomo alle cose (meglio se di natura tecnologica).
Nel cogliere la metamorfosi di tale movimento, l’inversione polare è data in primis dal disagio nei confronti della morte e, più in particolare, dall’odierna capacità umana di esternalizzare i sentimenti e l’impossibilità di recuperare una dimensione intima, a discapito della spettacolarizzazione patinata in prima pagina (a tale proposito, notevole è la concordanza glamour con la copertina): “Riposava nella bara di legno scuro in un abito di viscosa e lana vergine, il collo a punta e una candida applicazione di pelliccia lungo i fianchi. Soffierà uno squillo e il volto, ben trattato dai cosmetici, nasconderà le piaghe dovute al sangue che non scorre” (p. 64).
La morte di Clara Salvemini, figlia di una delle più ricche e potenti famiglie di Bari (ma avrebbe potuto anche essere la famiglia Bianchi, Esposito o Brambilla), è, e resterà, sospesa, come tutto e tutti in questo libro, tra il sospetto di suicidio e l’omicidio colposo, a seguito di un investimento avvenuto sulla statale che da Bari porta a Taranto.
La sua prematura scomparsa sorprende i famigliari non tanto negli affetti quanto nella speciosa verifica dell’imprevisto in sé che costringe ognuno di loro all’impasse della calendarizzazione dei propri impegni e soprattutto dei propri progetti.
Inizia così il sottile intreccio che porta a svelare la meccanizzazione dell’uomo, la necessità di rimuovere il passato e la memoria per dedicarsi devotamente alla religione del futuro (pro-getto ovvero ‘gettare avanti’). Se, aristotelicamente, l’azione (nel senso degli avvenimenti) manca completamente all’interno del testo, la scrittura si costituisce come spia della sua assenza: nulla accade, tutto è sottinteso, presunto o desunto. Il ritmo sincopato (dato da una preminente paratassi e dal lavorio costante del punto fermo), devoto al frammento, riproduce e svela la disgregazione della famiglia (e quindi della società) a favore del singolo.
Ogni membro della famiglia Salvemini ha il suo piano da perseguire a discapito di tutti gli altri, senza contare che ognuno di loro (a sua volta munito di un progetto) costituisce il naturale ostacolo alla relativa realizzazione: “Vittorio sollevò la testa, osservò il confondersi di terra e cielo al di là degli alberi. Una rotella aveva preso a muoversi due notti prima. Da potenziale il meccanismo si era fatto attivo, da semplice complesso. Un universo la cui espansione – vera e inconsapevole nel tessuto del mondo, fittizia e ben codificata sotto il lume della sua ragione – era la più vistosa manifestazione del concetto di rovina davanti a cui si fosse mai trovato” (pp. 73-74).
L’assedio dell’astrazione è perciò il vero protagonista di questa storia, poiché impone l’attenzione sull’o-sceno nella doppia valenza di immondo e di fuori scena; esso rappresenta ciò che non può mai essere svelato, ovvero l’intimità dei pensieri e delle mire degli attanti, le cui oscenità interiori rimandano a quei piani subdoli e nefasti che prendono il via lontano da occhi indiscreti: tradimenti, corruzione, minacce, ricatti e strette di mano.
Mentre l’uomo mostra, sempre più, sfacciatamente l’innaturale metamorfosi, mutando in un calcolatore di probabilità e interessi, la macchina sorpassa l’originaria dimensione di protesi antropomorfa per costituirsi ̶ unico possibile ormai ̶ baluardo della memoria: “la trasmigrazione delle anime stava cambiando le regole del gioco. Analogico e digitale. Il passaggio trasformava i sentimenti in qualcosa per cui gli aggettivi più calzanti dovevano ancora essere coniati. Aperto. Esilarante. Utile. Amichevole. Superficiale. Pornografico. Sanguinante” (p. 101).
Se è una macchina a porre fine alla vita di Clara (permettendo alla storia di avere un inizio), la tecnologia ne tiene in vita il ricordo (segnando allo stesso tempo il passaggio dalla tecnica alla tecnologia, come nelle parole di Vittorio, p. 352), attraverso un profilo Twitter che si attiva dopo la sua scomparsa. È solo a questo punto che Michele, figlio illegittimo di Vittorio e per questo “bannato” dalla moglie che lo cresce come un’indesiderata appendice, decide di fare chiarezza sulla strana morte della sorella, unico membro della famiglia con cui da piccolo aveva stretto un legame.
E non potrebbe essere altrimenti, poiché Michele è l’esiliato (fin dai tempi del militare), l’assente (non partecipa né al matrimonio né al funerale di Clara) e l’o-sceno per antonomasia, con la sua discreta dissociazione dall’essere correo dell’astrazione e con la sua predilezione per l’inutile, la natura e la riflessione, come nelle parole rivolte alla sorella: “In natura non troverai mai due coccinelle uguali. Il quadrato è un’astrazione. Assediati da una cosa che non esiste. La verità è troppo delicata, troppo altezzosa per non lasciarsi morire davanti a un’offesa così grave. Questo, prima che arrivassi tu” (p. 241).
Nella società dei teoremi, la meccanicità del risultato è minata dalla messa in discussione degli assiomi (in Occidente nessuno ormai controlla più l’ovvio): perché ci sia una letteratura è indispensabile l’esistenza dell’uomo. La verifica messa in atto da Lagioia ha il grande merito di costituirsi interrogativo fondamentale. Se la vergogna prometeica è rimasta al palo del Secondo millennio, nel Terzo egli ha perduto qualunque freno inibitorio, trascinandosi con ferocia verso la X.