Grandi riflessi – Apuleio: La Favola di Amore e Psiche, ovvero la favola di ogni amore

 

Apuleio

Titolo: Favola di Amore e Psiche, in Le metamorfosi (Metamorphoseon libri), ovvero L’asino d’oro (Asinus aureus)
Autore: Apuleio
Anno di scrittura: ignoto (II sec. d.C.)
Edizione usata per la recensione: Einaudi, 1973

Spesso, quando si pensa ai romanzi più biecamente commerciali, si pensa proprio ai romanzi d’amore, che si contendono il titolo con pochi altri generi e strappano il primo posto grazie alla cattiva nomea della serie Harmony (che peraltro non è mai stata sperimentata dalla quasi totalità dei detrattori). Una storia d’amore all’interno di un libro che parla d’altro è concessa, perfino auspicabile, anche per i più raffinati, ma sono rarissimi i libri che sono entrati nel novero dei grandi classici assumendola, sfacciatamente, come elemento centrale e praticamente unico. A fianco di Romeo e Giulietta, possiamo senza dubbio citare la Favola di amore e Psiche.

A dire il vero, non si tratta di un libro autonomo: è parte di uno dei due soli romanzi latini pervenutici, L’asino d’oro di Apuleio, e poiché la Favola viene spesso edita in modo autonomo (e molto più letta in forma indipendente che all’interno della ponderosa opera) la recensiamo di per se stessa. Chi la leggerà e se ne appassionerà, potrà recuperare il testo completo e gustarsi le rispondenze con le altre parti dell’opera. Noi ci limitiamo ad ascoltare la voce della vecchia che narra una bella storia. Una “fiaba”, diremmo, più che una “favola”: del resto, in latino “fabula” è semplicemente una “storia”, ed il termine non va sovrapposto al nostro, molto più specifico, “favola”.

La vicenda, raccontata nei termini più essenziali, può quasi sembrare un sogno di ragazzini: la ragazza più bella del mondo conquista un ragazzo bello come un Dio (anzi, a dire il vero un Dio), che si innamora di lei al solo vederla; la famiglia di lui, però, si oppone a causa di una differenza di status sociale (loro sono divinità, lei una mortale) e anche per una certa invidia per la freschezza della fanciulla (l’invidia degli dei è quasi un thopos), ma alla fine, dopo aver fatto soffrire la poveretta, deve cedere e i due piccioncini si sposano. Il tutto, ammettiamolo, arricchito da una certa ambientazione mitologica, che però non basterebbe a nobilitare la questione.

La questione è che, come tutti i grandi classici, ci coinvolge e ci affascina perché parla di noi, perfino quando non ce ne accorgiamo. Si ha un bel cercare precedenti letterari: per chi è interessato, l’origine sarebbe una fiaba berbera, e sarebbe comune a storie come quella della Bella e la Bestia con cui condivide un palazzo vuoto e abitato da servitori incantati a disposizione della donna, nonché un marito invisibile (e infatti anche se Cupido è bellissimo, le sorelle gelose di Psiche hanno buon gioco a insinuare che sia un mostro, giacché non vuole essere visto). La realtà è che ciascuno ha vissuto in prima persona il “precedente letterario” di questa storia.

Psiche è bellissima, straordinariamente come ciascuno crede o vorrebbe essere, ma proprio per questo non trova nessuno disposto ad impalmarla, a differenza delle meno avvenenti sorelle, e ciò causa apprensioni ai genitori. Chi non si è sentito custode di tesori che gli altri non sanno apprezzare? Anche se in realtà il “paradosso della bellezza” ammirata, ma alla quale nessuno osa avvicinarsi, ha fruttato interessanti studi moderni, e del resto perfino Ariosto, nella Satira V, raccomanda di non cercare una donna «tal che di bellezze avanze/ l’altre». Torniamo a Psiche: si innamora di Cupido senza vederlo, di fatto senza conoscerlo, e vive come in un sogno. Ecco l’innamoramento. Ma accade che, indotta dalla gelosia delle sorelle (ah, le amiche invidiose che fanno notare i difetti!) accende il lume, lo vede, lo conosce: cominciano i problemi. Lui fugge: qui materialmente, nella vita reale fugge l’immagine dell’altro idealizzata.

Alcune versioni della favola finiscono qui, come molti amori finiscono all’apparir del vero. Non la versione di Apuleio, per il quale, lo ricordiamo, la vicenda ha un significato iniziatico. Attraverso varie prove, i due amanti si ricongiungono: Cupido guarito dalla ferita inferta dall’olio (ed è chiaro che un Dio non potrebbe languire per settimane a letto per una goccia bollente, se non avesse un valore simbolico), torna a posare gli occhi su Psiche che non ha smesso di cercarlo, lei supera le prove imposte da Venere, ed i due convolano a giuste nozze.

Notiamo che il dissidio ha avuto origine dalla curiosità umana: fonte, questa, di grandissimi guai in tutta la mitologia antica. Ha causato la cacciata dell’uomo dall’Eden per la Bibbia così come la diffusione di tutti i mali contenuti nel vaso di Pandora. Anche qui è causa di male? Apparentemente sì, ma se Psiche non osasse conoscere, l’amore resterebbe ad uno stadio infantile, adolescenziale, insomma incompleto, perché limitato ai ciechi amplessi notturni. Attraverso l’errore, attraverso la conoscenza, invece, diventa più completo, totale, maturo. Da Cupido (il desiderio) e Psiche (l’anima – intesa in greco senza implicazioni religiose), nasce la Voluttà. Il più profondo dei piaceri non può sorgere che dall’unione profonda degli istinti e della comunione d’animi.

Twitter: Amore e Psiche: il desiderio e l’anima che generano la Voluttà.

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