Incontrando Michele Cafarelli e il suo collaboratore Marco Ruffino abbiamo subito l’impressione di avere a che fare con chi di design ci vive, amandolo e credendoci fino in fondo. L’autore, insegnante al Politecnico di Torino ha pubblicato per la Espress edizioni” Didesign: ovvero niente.”
“Il titolo”, ci spiega, “parte da una sensazione di insofferenza come professionisti e docenti nei confronti dell’abuso di un termine, design appunto, utilizzato ormai prevalentemente in un’accezione scorretta, come un oggetto appariscente, di utilità limitata e molto caro, insomma un po’ un sinonimo di griffe. In realtà questo termine nasce dalla produzione industriale per indicare oggetti di uso quotidiano. I miti veri del design sono oggetti anonimi, che proprio perché tali sono entrati nella vita di tutti i giorni come la puntina da disegno, la clip, la penna bic, la moka Bialetti.”
Come avete scelto gli oggetti che avete inserito come emblematici del primo decennio di questo secolo?
In realtà sceglierli è stato un lavoro davvero difficile per il quale ci siamo confrontati con tutto il gruppo di studio con cui lavoriamo (Yetmatilde) e una serie di collaboratori del Politecnico. I principi fondamentali sono stati la ricerca scientifica di base, il risvolto sociologico e la creazione di un nuovo linguaggio espressivo, oltre che ovviamente l’uso effettivo e manifesto del prodotto. Abbiamo cercato di evitare ciò che fosse una pura operazione di marketing, puntando sui progetti caratterizzati dall’onestà intellettuale del progettista, che ha proposto una novità, o una reinterpretazione frutto di una ricerca, magari effettuata lavorando direttamente sulla tecnologia. Comunque è il progetto che deve avere il ruolo fondamentale, non la “firma” di chi lo crea, come invece spesso accade.
Qual è lo scopo del libro e a chi si rivolge?
L’ obiettivo è quello di dare strumenti per leggere gli oggetti e capirne il valore effettivo , dato soprattutto da due elementi : la ricerca scientifica con la progettazione che sta alla base e il cambiamento sociale che l’oggetto produce. Non volevamo essere troppo teorici e accademici, ma contribuire a riportare il design dov’era partito, cioè dalla vita quotidiana e per la gente comune.
In effetti, prendendo in mano il libro e scorrendo le immagini scelte, che vanno dalla chiavetta usb a installazioni permanenti, si ha la consapevolezza di come questi oggetti a volte apparentemente banali siano nati da menti geniali e prendano la forma di utilissime opere d’arte … Basta guardarli con l’ottica giusta, guidati da chi li ama!