Incubatore – Confessioni di un mangiatore d’oppio

Fabrizio De Priamo, Valentina Piscitelli, Virginia Foderaro

Se già la copertina non ci avesse incuriosito abbastanza, con quella sua immagine conturbante di costruzione impossibile, di certo l’avrebbe fatto il titolo della collana: “I Classici dell’ebbrezza”, edita dalla casa editrice Opposto. Abbiamo quindi incontrato il curatore, Fabrizio De Priamo, per scoprirne di più. Questo è ciò che ci ha raccontato.

 

Il titolo della collana è davvero intrigante. Ci racconti in cosa consiste questo progetto così particolare.

 

La nostra idea è colmare il vuoto che abbiamo percepito nel trattare il tema dionisiaco, pluriaffrontato sicuramente, ma mai in una collana unica. L’attenzione forte alla cultura dell’ebbrezza e alle droghe in connubio con la letteratura non deve però trarre in errore: è importante capire che l’estasi non significa solo assunzione. Estasi è alterazione della percezione soggettiva che può essere indotta anche da stadi particolari, come quelli empatici; un caso tra tutti Gabriele d’Annunzio, che in vita fece sì uso di droghe, ma la cui poesia estatica non si legò ad esse, quanto piuttosto alla sua incredibile sensibilità artistica. Non cultura della droga quindi, che da sola non esaurisce il tema ampio e articolato dell’ebbrezza, ma è spesso strumento per passare al livello successivo della coscienza, per effettuare un salto dal normale stato di percezione. La nostra operazioni creativa è stata trovare il file rouge a cui riferirsi per guardare a questo tema. Ho così identificato tre autori da cui, a mio parere, discendono i filoni principali dell’ebbrezza: James Hillman, psicoanalista; Elémire Zolla, studioso; Timothy Leary, insegnante, in un certo senso l’immagine del “cattivo maestro”. Hillman indagò il dionisiaco nella psiche considerando anche temi molto forti come violenza e stupri e usò i risultati del suo studio nelle terapie; Leary fu uno dei padri della cultura psichedelica del ’68, parlò di ebbrezze digitali e virtuali, diceva sempre «tolto l’LSD alla CIA e la psicologia agli analisti, completiamo l’opera sottraendo all’IBM il potere del computer»; Zolla, infine, fu uno studioso di religioni comparate ed esoterismo in chiave gnostica. Tutti e tre devono molto alla filosofia di Nietzsche, ognuno per un aspetto particolare: per Leary era la liberazione dalla costrizione, per Zolla l’indagine delle profondità umane, per Hillman il mito greco.

  

Avete scelto Thomas De Quincey come autore di apertura di questa collana. Chi era?

 

De Quincey è un autore poco conosciuto, ma perfetto per iniziare la nostra collana. Pur non essendo povero, aveva sofferto molto per una serie di lutti in famiglia e aveva una sensibilità molto spiccata. Si fece da solo lavorando come scrivano, sapeva molto bene il greco e studiava con costanza, ma non riusciva a sfondare. Ebbe successo soprattutto con quest’opera, che comparve sul London Magazine e solo dopo venne stampata in un volume: fu una sorta di bestseller dei nostri tempi, sia per i temi scandalosi descritti in questa confessione, sia per il suo modo di porsi da persona comune che rivela la propria esperienza con lucidità e senza false ipocrisie. Continua a tessere, dove necessario, le lodi dell’oppio: sa essere buono, come il vino, ma più apprezzabile per la lucidità e gli effetti che da alla mente. Alcune delle visioni che ha descritto nella sua opera divennero poi di ispirazione per il film Nodo alla gola di Hitchcock.

 

Quali sono le difficoltà di un progetto così particolare e complesso?

 

La difficoltà più grande è stata dare unità alla collana: fare in modo che niente sembrasse mai lì «per caso», mai per interesse, ma che seguisse un percorso preciso e studiato. Abbiamo scelto di iniziare con De Quincey perché fu un pioniere, anche se meno conosciuto di altri autori che trattarono l’argomento dell’ebbrezza, come Hoffmann e Coleridge. Ha dalla sua un linguaggio immediato, di rara lucidità e scorrevolezza; scrive in forma di diario, parlando al suo lettore come se lo avesse davanti, raccontando degli effetti alteranti che l’ebbrezza ha sull’uomo comune da pari a pari. Era l’autore perfetto con cui iniziare questa nuova raccolta.

 

Come vi siete posti nei confronti della traduzione dalla lingua originale dell’autore?

 

È stato un lavoro difficoltoso, abbiamo operato soprattutto per sincronizzare le parti scritte: era palese che l’autore avesse registrato le sue esperienze in momenti diversi e alcune ripetizioni sono state tolte per non confondere il lettore. Abbiamo fatto un lavoro di editing molto importante eliminando periodi lunghissimi, pieni di subordinate, e descrizioni di paesaggi che nell’insieme appesantivano il racconto, mantenendo e valorizzando le parti più intense ed incisive della narrazione. Abbiamo puntato soprattutto sulle scelte di lingua che potessero rendere i significati e i riferimenti che De Quincey intendeva dare.

 

Qual è stata la vostra soddisfazione più grande?

 

Senz’altro riuscire a mettere in asse tutti i diversi contenuti: il progetto, il testo, l’immagine copertina… l’autore che abbiamo scelto per illustrare la collana è stato Giuliano Marin, un artista che lavora sui concetti di alterazione e che a mio avviso illustrava bene l’idea che noi stessi avevamo sull’argomento. Lo stesso De Quincey descriveva nei suoi sogni forme particolari, architetture impensabili, e Marin le richiamava con somiglianza incredibile (l’immagine di copertina è S_07(site), NdR).

 

Che cos’è alla fine l’ebbrezza di cui si parla?

 

Semplicemente uno stato di grazia e la lotta per farlo diventare permanente, oppure per poterci ritornare. Bisogna però capire gli strumenti che servono per raggiungerlo. È una conoscenza che passa, è vero, anche per le droghe, ma non necessariamente: serve avere una disposizione mentale adatta a ricevere l’immagine e farsi illuminare da essa.

 

E chi ce ne parlerà nel prossimo libro?

Gabriele d’Annunzio. Ci manterremo su autori classici per adesso, idealmente presi dai quattro angoli dell’Europa: seguiranno infatti Strindberg e probabilmente Baudelaire. Ma restiamo aperti anche ad altre suggestioni.

 

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