
Autore: Paola Barbato
Data di pubbl.: 2018
Casa Editrice: Edizioni Piemme
Genere: thriller
Pagine: 515
Prezzo: 18,50
“Ti guardi e non sai che è l’ultima volta.
Il titolo del nuovo thriller di Paola Barbato, edito da Piemme, recita così: “Io so chi sei”. La citazione che ho posto all’inizio di questo racconto/intervista all’autrice dice “(tu) non sai…”.
Si tratta di una contrapposizione palese che ho voluto porre in apertura per sbattere in faccia ai potenziali lettori una particolare energia, un particolare coraggio, una nota di ribellione o di chiara aggressività di cui l’autrice carica questo suo nuovo romanzo.
Il titolo è tagliente, netto, provocante, può mutare da un senso apparentemente negativo ad un senso positivo, quello che è certo è la sospensione che lascia nei pensieri di chi legge. È un elemento di stile dell’autrice la scelta di titoli di questa tipologia.
Paola ci ha raccontato che “Io so chi sei”, ha due fonti originarie, rispettivamente legate ad un personaggio uomo e al personaggio protagonista principale, donna. Li conosceremo come coppia, ma non li vedremo mai insieme, e già questo è un ottimo incipit verbale per spronarvi a leggere questo libro, ma non è nulla in confronto al vero incipit, il trampolino di lancio che vi catapultera’ in un lampo a pag. 513. È questo è tutto quello che vi dico della storia: un incipit memorabile che dà lo start, un coro più o meno intonato di personaggi, una vicenda forte, violenta ma non troppo, all’inizio, una storia che cresce di intensità, con un gran botto a metà strada o poco più, che rilancia ulteriormente la posta in gioco.
Scrivere così tante pagine presuppone grande capacità progettuale.
Ho chiesto espressamente a Paola come ha costruito il romanzo, se in partenza c’era un progetto ben definito, o se ha prevalso, come ci ha racconta spesso il maestro S. King (apprezzatissimo e citato anche da Paola) lo sviluppo e l’emersione della storia passo dopo passo.
PAOLA: “Tutto è nato da Lena e Saverio, soprattutto dall’inettitudine di Lena, rappresentante di una certa categoria di persone che volevo raccontare: persone lamentose, poco disposte ad impegnarsi, persone il cui unico obiettivo nella vita è farsi coinvolgere il meno possibile, schivare i problemi, farla franca. Da lì poi ho fissato alcuni punti cardine imprescindibili, dai quali dovevo e volevo passare. In alcuni momenti poi ho dovuto fare anche qualche passo indietro, e per questo non mi sono data una griglia che mi potesse imbrigliare, ma ho lavorato in campo aperto.
Tre sono gli elementi particolarmente interessanti, a mio parere, fra molti. Il primo è lo strettissimo rapporto che Paola Barbato ha con i personaggi delle storie che scrive e, collegato a questo, il secondo è lo sguardo particolare che lei esercita sulle sue stesse storie. I personaggi in questo romanzo sono tanti, e Paola li possiede, li plasma, li guida, tanto che si può arrivare a pensare che li lasci poco liberi, ma non sarà così. Sono suoi, li vuole così, li conosce nel profondo, in modo quasi maniacale, tanto che intervistandola insieme agli altri blogger invitati, ci siamo ritrovati ad un certo punto a conversare amabilmente con lei dei personaggi stessi, e di uno in particolare, con un tale coinvolgimento che li trattavamo come fossero persone vere, in carne ed ossa.
Il secondo aspetto importante dopo la costruzione dei personaggi e’ lo sguardo dell’autrice.
Il suo sguardo sul romanzo, che ho scoperto ascoltandola raccontare, è uno sguardo d’insieme, un abbraccio molto ampio che tiene dentro tutto, dall’intera trama al più piccolo particolare, dall’intreccio delle tante piccole storie inserite nella storia principale, al tempo meteorologico e ai tanti eventi che si verificano nei luoghi del romanzo, ambientato a Firenze.
Questo aspetto non è un fattore meramente tecnico, ma è chiaramente una sorta di amore che l’autrice vive per la sua storia, come se lei fosse uno dei personaggi, o forse più di uno. Paola Barbato vive la storia, vive nella storia e ne racconta come di un figlio, o per restare nell’ambientazione del romanzo, come fosse uno dei molti cani di cui si racconta.
Terzo aspetto fondante, secondo la mia analisi, è il seguente. Paola, che conosco per la prima volta, ma che ispira fin da subito una grande fiducia, emana passione, professionalità, concretezza e coraggioso realismo. Paola dicevo è partita da Lena, personaggio femminile protagonista assoluta ma non amata dall’autrice stessa, e dal suo fidanzato Saverio, personaggio che “proviene” da un altro lavoro letterario di Paola, che può essere letto indifferentemente prima o dopo questo. Ce li presenta, li separa subito, praticamente da pag. -1, e passa ad introdurci nella loro numerosissima cerchia di amici animalisti, creando un romanzo corale, ove ognuno suona chiaramente uno strumento diverso dall’altro, e Paola Barbato è una direttrice d’orchestra fantastica, che li tiene assieme in modo armonico, con una attenzione incredibile anche al particolare apparentemente più insignificante, e capace poi a metà strada di buttare all’aria gli spartiti della storia, facendo cosa? Introducendo un nuovo personaggio, diverso da tutti, potentissimo, vero e spaventoso. Se fosse uno strumento, sarebbe un trombone.
Quarto ed ultimo, il più difficile da tradurre.
“Questo non è un romanzo di buoni sentimenti, tantomeno un romanzo d’amore anzi, di amore ce n’è davvero pochissimo, forse quello di Saverio per il suo cane è l’amore più vero.”
Sono parole di Paola e attraverso queste vorrei trasferirvi una frase che lei mi/ci ha lasciato, quando le ho chiesto di parlarci un po’ di più della violenza che permea questo romanzo, che mi ha ricordato la quadrilogia di David Peace 1974/1977/1980/1983, violenza che io ho colto declinata come possibile soluzione.
“La violenza qualche volta è una strada che si lascia percorrere. Non si può negare l’esistenza di questa strada. Tutto sta a fornire un’alternativa, che però nessuno dei personaggi del romanzo sembra riuscire a fornire. Nemmeno le forze dell’ordine.”
Buona lettura, e grazie a Paola Barbato.