Data di pubbl.: 2024
Traduttore: Alberto Bacci Testasecca
Pagine: 416
Prezzo: € 19,00
“…il Libano è composto da due catene montuose parallele, nient’altro, montagne che nel corso dei secoli hanno accolto tutte le minoranze perseguitate nel vasto entroterra, maroniti, sciiti, drusi, siriaci, assiri, caldei, armeni, ebrei… in tutto diciotto comunità.” (p. 168)
Ecco cos’è uno dei Paesi più martoriati dalla guerra, sia nel secolo scorso che in questo. Proprio come la sua capitale, Beirut, congerie di etnie e religioni diverse che per secoli hanno convissuto senza apparenti conflitti, magari sopportandosi e poi chiamandosi con termini derogatori nel segreto delle loro case, ma in un equilibrio ammirevole.
Sélim Nassib, giornalista e scrittore libanese di origini ebraiche, lo racconta in questo libro con un dolore attento, una nostalgia antica, parole alate, un’ottima conoscenza del periodo storico trattato. Narra Beirut e il Libano dall’interno partendo dal 1956, servendosi della voce narrante di Yusef Hosni, ragazzino ebreo che lentamente entra in contatto con i musulmani, sciiti e sunniti, si pone domande sulla sua identità, guarda con occhi confusi la propria strana famiglia – un padre e una madre i quali, pur amandosi, non si parlano; una congerie di zie e zii che gravano su di lui. Si prosegue con il 1968, dove tutto comincia a confondersi nelle lotte studentesche all’università, negli schieramenti che si creano, nelle aggressioni dei dominanti cristiano-maroniti agli oppositori, a ridosso della vittoria degli israeliani nella guerra dei sei giorni. Yusef e i suoi compagni assaggiano la galera a causa del loro impegno politico, prigioni sovraffollate soprattutto dai musulmani sciiti, considerati la feccia dell’Islam dagli altri correligionari, per non parlare dei maroniti. Una volta liberi, Yusef e i suoi si rendono conto che quello è solo l’inizio: qualcosa di orribile e definitivo sta per abbattersi sul Libano e la sua capitale: è la guerra civile che scoppierà nel 1975 e si protrarrà per anni devastando Beirut, annichilendo i suoi cittadini. Nel 1982, Yusef che vive da tempo a Parigi con la famiglia ed è diventato un giornalista, torna a Beirut come inviato speciale. Ritrova i compagni di un tempo, la donna che ha amato, Jana, i personaggi del quartiere in cui abitava. Ma tutto è cambiato e niente, a guerra conclusa, potrà mai tornare come prima. Quell’equilibrio perfetto e precario è stato irrimediabilmente spezzato dalla presenza dell’OLP di Yasser Arafat, dalla sua lotta contro Israele per riconquistare la terra perduta, la Palestina, dall’invasione israeliana del Libano e dalla sua alleanza con i maroniti di Gemayel, dalle bombe e dagli eccidi, dalla divisione della città in due zone distinte solo una delle quali viene colpita, dall’orrore dei campi profughi. E di nuovo Yusef si chiederà da che parte stare, lui, ebreo, che in quegli ebrei aggressori non si riconosce.
“Un filosofo francese ha detto che la caratteristica tipica dell’identità ebraica è una sorta di inadeguatezza con se stessi.” (pag. 287)
Così si sente Yusef mentre combatte il terrore dei bombardamenti con l’eroina e rischia di diventarne schiavo. Il racconto si ferma a poco dopo la partenza dell’OLP e di Yasser Arafat dal Libano sul piroscafo greco Atlantis. Yusef tornerà a Parigi e Beirut, distrutta, devastata e spezzata resterà un incubo lontano e al tempo stesso per sempre presente.