Traduttore: Camillo Pennati
Pagine: 400
Prezzo: 16
Alcuni di noi, vecchi appassionati di fantascienza, hanno scoperto solo ora questo romanzo. Forse perché non siamo abbastanza vecchi: quando uscì, nel 1985, eravamo troppo giovani per poterlo apprezzare. Ma Il racconto dell’ancella è ormai un classico delle distopie, riconosciuto e discusso da tempo, tornato alla notorietà che merita grazie a una serie tv di recente uscita.
Tuttavia, non bisogna aspettarsi un romanzo distopico di quelli che vanno di moda oggi, uno del filone young adult, per intenderci. Qui non ci sono protagonisti giovani né eroici, qui non c’è una storia epica.
Si dirà poco, qui, della trama. Il consiglio è di affrontare la lettura cercando meno informazioni possibile, senza nemmeno leggere il risvolto di copertina, che dice davvero troppo. Accontentiamoci degli elementi fondamentali, ormai piuttosto noti: la storia è ambientata nel futuro, dopo che è successo qualcosa che ha reso più difficile la procreazione. Nel regime che tutto controlla, le ancelle sono donne fertili che vengono assegnate a un Comandante, un dirigente, per partorire un figlio che sarà cresciuto dal Comandante stesso e dalla di lui moglie come se fosse il frutto della loro unione.
La narrazione può apparire semplice. La prima persona presente ci accompagna nella vita di un’ancella, alternando alcuni ricordi in cui scopriamo, attraverso episodi della sua vita, alcuni aspetti delle trasformazioni a cui ha assistito e che ha subito.
Tuttavia, l’autrice offre molto lentamente al lettore le informazioni necessarie a capire la situazione, e lo fa con estrema abilità, mascherandole nel non detto di quanto la protagonista scrive.
Non è, in questo senso, un romanzo distopico moderno dove si spiega chiaramente, magari attraverso un prologo, la forma di governo, i ruoli e le regole sociali. Qui emerge tutto dalle parole dell’ancella e soltanto alla fine, in una conclusione asettica, vengono esplicitate cose che il lettore ha già intuito.
L’ancella, invece, racconta ciò che vede e ciò che vive con crudezza. La sua visione della società è limitata: non dice di più perché non sa di più. Scrive probabilmente per se stessa, e infatti scopriremo molto avanti nel libro che si chiama Difred, che non è il suo vero nome: Difred significa di Fred, cioè che appartiene al Comandante Fred. È una donna che ha accettato la situazione in cui vive, che formalmente l’ha scelta, e per questo è rassegnata. Sembra, però, una donna forte, forse più del Winston Smith di 1984.
Il brano qui proposto racconta la Cerimonia, cioè l’accoppiamento con il Comandante dopo una rituale lettura, sotto gli occhi vigili di Serena Joy, la di lui moglie.
Un lieve profumo di mughetto ci circonda, fresco, quasi frizzante. Non c’è calore in questa stanza.
Più su, verso la testata del letto, è distesa Serena Joy, con le gambe divaricate. Io giaccio tra di esse, la testa sul suo stomaco, il suo osso pubico sotto la mia nuca, le sue cosce ai lati. Anche lei è completamente vestita.
Tengo le braccia alzate, lei stringe le mie mani nelle sue, a significare che siamo un’unica carne, un unico essere. In realtà significa che è lei ad avere il controllo del processo e quindi del prodotto. Se ci sarà. Gli anelli che porta sulla mano sinistra mi tagliano le dita. Può darsi che sia o che non sia una vendetta.
La gonna rossa mi viene tirata su fino alla vita, non più su però. Lì sotto il Comandante sta fottendo. Ciò che sta fottendo è la parte inferiore del mio corpo.
A sconvolgere, in questo romanzo, è la rapidità con cui il cambiamento sociale è avvenuto. Lo viviamo tramite i ricordi di Difred, che ci mostra come il passaggio da una società libera a una società fortemente controllata sia avvenuta in modo graduale ma rapido. Ma soprattutto accettato, come se tutti non aspettassero altro, come se l’essere assegnati a un ruolo predefinito fosse una sorta di liberazione dalle responsabilità individuale delle scelte di vita, delle decisioni da prendere. E questo vale per i mariti, che finalmente trovano legittimazione nel prendersi cura delle mogli, ormai prive di diritti, ma vale anche per le ancelle, per quanto scomodo sia, e per le Zie che educano le ancelle, le Marte che si occupano della casa, per i Custodi e per gli Occhi, e per tutti gli altri.
Il racconto dell’ancella è un romanzo di fantascienza, decisamente (ma, come spesso capita in Italia, l’appartenenza a questo genere non viene dichiarata). Certo, non è fantascienza tecnologica, ma fa parte di quel filone sociale e politico che vanta una lunga tradizione e autori illustri. È, tra l’altro, consigliato da Fantascienza.com come uno dei dieci romanzi di fantascienza adatti ad avvicinarsi al genere.