
Autore: Pariani Laura
Casa Editrice: Giunti Editore
Genere: Romanzo
Pagine: 144
Prezzo: 12.00 €
“Ti sento dire che quell’uomo non è un angelo: è un assente ingiustificato, un nessuno condito di niente”.
All’interno de Il piatto dell’angelo Laura Pariani racconta storie differenti accomunate da un elemento che scava e lacera l’anima: l’abisso di una distanza non destinata a colmarsi; una mancanza che segna profondamente intere esistenze. Le lontananze, con una certa crudeltà ineluttabile, evocano echi storici che si perdono nell’enorme massa d’acqua tra la “Merica” e l’Italia; sgretolano un matrimonio, quello tra Piero e Marina, destinato a perdersi nell’oblio della contemporaneità priva di comunicazione; scavano fossati tra generazioni, eludendo gli ultimi strazianti tentativi di avvicinamento tra una madre avvelenata e una figlia travolta da un passato che non sente suo e che devasta, dall’età di quindici anni, il suo presente: “io però da te, quando te ne sei andata per sempre, ho ricevuto come lascito solo questa vecchi storia ingarbugliata di dolori e rancori.”
Il piatto dell’angelo ci conduce allora dentro alcuni anfratti dell’anima di chi racconta, emersi in un contesto più ampio di malinconici abbandoni e celate solitudini: vite d’emigranti che ricoprono più di cent’anni di Storia d’umanità. Uomini di ieri e donne d’oggi costretti a recidere cordoni ombelicali con le proprie radici per trapiantarsi in realtà pronte a rigettarli: vite passate raccontate attraverso nomi e cognomi che rievocano destini fondamentalmente simili; vite odierne raccontate attraverso gli occhi del viaggiatore moderno, spesso superficiale e dotato di paraocchi contro le miserie che popolano il mondo. Del resto, come sottolineato dal libro, la nostalgia è impotenza: una voragine creatasi da un distacco definitivo che non può più essere ricucita ma solo raccontata.
Sono le domande che Laura Pariani dissemina nel testo a evidenziare quelle tematiche centrali che permettono una corretta lettura: “Devo scrivere di te, madre?” e ancora “Si possono raccontare le radici?”. Tra le pagine del libro, fortunatamente, si scorgono anche le risposte: nascoste parzialmente tra le pieghe di una scrittura chiara e coinvolgente, celate sotto la forza rumorosa delle emozioni raccontate, potenti e malinconiche nel sottolineare fratture ormai insanabili. Ne Il piatto dell’angelo si riannodano fili personali e autobiografici che l’autrice aveva iniziato a tessere in altre sue precedenti opere, quasi cercando di chiudere un cerchio destinato, però, a rimanere semiaperto per sempre.