Autore: Andrea Ballarini
Editore: Del Vecchio
Genere: romanzo
Anno di pubblicazione: 2012
Pagine: 456
Costo: € 16
Una storia misteriosa e assieme una vicenda di amicizia e formazione è questo romanzo ambientato alla fine del Seicento che ha come protagonista Giacomo Crivelli, attore comico trovatosi senza lavoro a causa della chiusura della compagnia di teatranti italiani per volere del Re francese. Inizia a vagabondare in vari luoghi d’ Europa e raggiunge i confini delle terre. Sull’isola di St. Honorat vorrebbe condurre una vita ritirata, ma si confronta col mare infinito che lo cattura al punto tale da non lasciarlo scrivere. A sottrarlo definitivamente ad un destino ascetico ci pensa Aristotele Cereri, un vecchio amico con cui si comprende abbia avuto dei trascorsi avventurosi. Così i due si mettono in cammino alla ricerca di un lavoro a Venezia, attraverso la straordinaria e affascinante varietà dei territori francesi. I due incontrano personaggi singolari e ben caratterizzati come il “Caronte” del torrente Scrivia o l’avvenente attrice Diana di cui Giacomo si invaghisce. Il protagonista a tratti appare un po’ come il Narciso di Hesse: viaggia di luogo in luogo accumulando esperienze di ogni genere.
“Aristotele fu interrotto da un irsuto figuro con una benda di cuoio sull’occhio destro, comparso all’improvviso, come se fosse emerso dal fiume:L’homo selvaticus sorrideva e intanto si puliva le unghie d’una mano con la lama d’un coltello a serramanico mentre biascicava una radice di cui sputava a intervalli regolari dei piccoli frammenti. A guardarlo meglio, più che dalle profondità del fiume sembrava emerso da quelle della terra. Dava l’impressione d’una grande potenza fisica pur non essendo enorme. La barba malfatta tre giorni prima, i capelli scarmigliati, la piega crudele delle labbra sommata all’espressione truce suggerita dalla monocularità gli conferivano un’aria sinistra e benché parlasse un italiano senza identificabili inflessioni dialettali la voce ruvida e rasposa non contribuiva a mitigare la paura che incuteva” (pag.92).
Nella seconda parte, ambientata a Venezia, si entra nel cuore del mistero e il romanzo diventa un giallo con l’omicidio di un nobile ad opera di un’attrice, che non è l’unico delitto del genere avvenuto nel luogo. Giacomo sarà costretto ad indagare e si imbatterà in un’epidemia di Fuoco di Sant’Antonio o male degli ardenti, malattia fino a quel momento poco conosciuta.
La narrazione ha un ritmo iniziale lento e pacato in cui si delineano dei fili che verranno ripresi successivamente, così la trama piano piano prende corpo e diventa un susseguirsi incessante di fatti, incontri e paesaggi. La lingua è utilizzata in modo originale mescolando toni seicenteschi a espressioni moderne e l’ironia di cui è intessuta stempera la lunghezza di alcuni dialoghi e contribuisce a rendere piacevole la lettura. Parafrasando i copioni teatrali con atti e scene l’autore fa precedere i capitoli da brevissime sintesi e gioca quindi con anticipazioni contenute nel titolo. D’altra parte di riferimenti al teatro la narrazione è ricchissima, proponendosi anche come viaggio nelle rappresentazioni seicentesche, in un periodo in cui questa forma d’arte godeva di grandissimo seguito.
“Ora, come ben sapete, il teatro è un ambiente affatto particolare e non condivide la vita del resto della società, se non per quelle ore dello spettacolo; fuori da quei momenti i teatranti conducono un’esistenza parallela a quella delle persone perbene, ma che – proprio come le parallele che non si incontrano mai – vi scorre accanto senza incrociarla. E’ l’unico modo di penetrare i misteri, i riti, le scaramanzie che separano la gente che fa il vostro mestiere dagli altri esseri umani è farne parte”.
Si tratta certamente di una lettura originale, dalle diverse suggestioni, che si propone come un’operazione letteraria ed erudita, ma al tempo stesso coinvolgente.