“Eluana non aveva nessun tabù della morte“: sono le parole granitiche di Beppino Englaro, ospite della prima edizione del Tabù Festival di Abbiategrasso “Chi ha paura della morte”, progetto pluriennale che ha esordito venerdì 25 ottobre nella splendida cornice dell’ex convento dell’Annunciata e avrà nei prossimi giorni, fino a domenica 3 novembre, il suo fulcro, affrontando, in location spettacolari e nei luoghi storici tra i più belli della Provincia di Milano, il tabù per eccellenza: la morte.
Nell’incontro ascoltiamo con intensa partecipazione un padre che ha vissuto una delle morti più innaturali e devastanti, la morte di un figlio, ma quello che più ci sorprende è la sicurezza lucida e incrollabile con la quale Beppino Englaro dà voce alla figlia.
E’ il lontano 1992 quando Eluana, a soli 21 anni, è vittima di un gravissimo incidente che non lascia via di scampo: lesione cerebrale e cervicale, rianimazione, tracheotomia, rianimazione ad oltranza quasi certa.
Fin da subito Beppino Englaro è certo della volontà della figlia. Ci racconta una Eluana determinata, dalle idee chiarissime fin da bambina. “Cosa credete voi di c’entrare con la mia vita ?” Eluana dice con innocente impertinenza a dieci anni. Anni dopo Eluana scrive della sua famiglia come di una triade unita dall’amore del rispetto e dalla collaborazione reciproca e con la sua famiglia fin da giovanissima parla di vita e di morte.
Una sorte beffarda vuole che esattamente un anno prima del suo incidente, e la perfetta coincidenza della data è inquietante, Eluana si trovi in quello stesso reparto di rianimazione in visita ad un amico e prenda consapevolezza dei drammatici rischi di una rianimazione ad oltranza. Tre giorni dopo Eluana accende un cero perché l’amico Alessandro muoia; per lei esiste una posizione univoca: è l’assoluta convinzione che nessun uomo può disporre della vita di un altro, “la libertà della vita non la condanna a vivere”.
Non ci sono dubbi per Beppino rispetto alla volontà della figlia, ma il vero sconcerto è in quello che lo circonda: un panorama culturale sterile e totalmente ignorante.
Dopo il primo colloquio con il medico che decreta una tracheotomia inevitabile ed inderogabile, Beppino si rende conto di non avere scelta, di non potere contare per la figlia sul diritto sacro santo alla morte.
Iniziano per lui anni di ricerca spasmodica “mi sono mosso a tutti i livelli, dalla Procura della Repubblica al mondo accademico, non trovavo interlocutore, come se nessun avesse mai preso coscienza del problema “, nei quali confessa di avere vissuto una tragedia nella tragedia e di essersi sentito “un randagio che abbaiava alla luna”.
Un lunghissimo iter giudiziario, una denuncia per omicidio volontario aggravato, un vero e proprio processo mediatico, fino ad arrivare ad un decreto liberatorio: il 9 luglio 2008 la Corte d’Appello Civile di Milano autorizza il padre Beppino Englaro, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata che manteneva in vita la figlia Eluana per «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno».
In tutto questo l’incontro chiave di Beppino con il Presidente del Comitato Nazionale per la Bioetica, grazie al quale, per la prima volta, viene affrontato il problema delle “barbarie della medicina”, così Beppino Englaro definisce le disumane condizioni di vita estranee alla concezione di vita della persona, create della medicina stessa.
“Decidere non al posto e per qualcuno, ma con qualcuno, noi semplicemente davamo voce a Eluana”, è questo che Beppino sostiene con la sua pacata determinazione e ci parla del necessario primato della coscienza personale, del diritto all’autodeterminazione terapeutica “offerta terapeutica no grazie, lascia che la morte accada”.
“Eluana ha avuto le migliori cure, tutti coloro che l’hanno seguita si sono mossi nella trasparenza e nella legalità e questa mia battaglia è stata compiuta alla luce del sole perché solo nella società si può realizzare la libertà. Grazie a Eluana non ci sarà né abbandonò né imposizione terapeutica”. Questo il lascito di una giovane vita spezzata e la monumentale opera d’amore di un padre.
L’incontro si chiude, così come era iniziato, con un lungo e partecipato applauso ad Eluana e con lei alla libertà, alla vita.