Autore: Elena Mearini
Casa Editrice: morellini editore
Genere: Romanzo, romanzo autobiografico, romanzo breve, Romanzo di formazione, Romanzo esistenziale, Romanzo famigliare
Pagine: 150
Prezzo: Euro 15,90
L’amore di una madre è inesauribile e assoluto. Infinito, per definizione.
Cosa accade allora quando una madre decide per l’abbandono di un figlio, di scomparire da tutto, non negandosi una vita ma cercandosene un’altra, imponendo a chi resta un percorso esistenziale impensato e non condiviso?
Incredulità e sgomento scavano nel tempo in chi è stato lasciato solo a sé stesso – nel caso alle delicate soglie dell’adolescenza – un nulla indigeribile.
Andrà colmata come si può questa assenza, in una rincorsa a ristabilire comunque il legame negato, fosse anche da parte di un solo attore: è così per Agata, protagonista di I passi di mia madre (Morellini) di Elena Mearini, che arrivata a quarant’anni è abitata da un vuoto che si è fatto ossessione e bisogno di ogni giorno.
Il conto nei riguardi di chi si è sfilato da responsabilità e incombenze – non volevi proprio cedere all’essere madre, e io succhiavo il residuo della tua resistenza – è aperto, tanto più che chi ha scelto la fuga si è fatto fantasma rimanendo in qualche misura presente, vettore su cui modellare la propria, di identità:
Tira su la testa. L’ha ripetuto così tante volte mia madre […]Non sono mai riuscita a camminare con le spalle dritte. Già dai primi passi procedevo con gli occhi rivolti al pavimento, nelle foto mi si vede puntare in basso, piastrelle di ceramica in cucina, marmo nella sala, tappeti in corridoio e poi sassi nel cortile.
Tira su la testa. Me lo dico da sola. Da quando lei ha fatto la sua scomparsa. Lo faccio qui, davanti allo specchio. Ubbidisco all’ordine della madre assente.
Crescendo a Agata sarà difficile anche solo trovare una foto che sostanzi il ricordo, un’immagine da cui cogliere segni premonitori della scelta materna, uno sguardo deviato, un abbozzo di spiegazione per la tragedia del mancato addio.
In mancanza di una effige, si affida alle parole: è per amore delle parole che decide di fare l’editor, per poter avere a che fare con loro ogni giorno nella casa di via Sarpi, quartiere cinese di Milano, dove le insegne fanno da confine tra il comprensibile e l’ignoto e gli ideogrammi rimangono impenetrabili, parole negate anche queste come quelle negatele dalla madre.
Nel lavoro cerca equilibrio: vi troverà anche un paio di relazioni con uomini di peso diverso a sfamare le sue mancanze, succedanei anche di altre dipendenze, del cibo, medicina per altre ossessioni, con cui ha un rapporto problematico che vedrà il suo sciogliersi solo al momento opportuno: mangio come se camminassi su terra liscia e piana, senza fatica, col piacere del passo e del morso.
Dove sarà finita la madre lo si scopre a squarci che inframmezzano l’affastellarsi dei ricordi: qui non possono essere qui svelati, ed è un vero peccato perché sono pagine splendenti, dove Elena Mearini come nel precedente È stato breve il nostro lungo viaggio, selezionato per il Premio Strega nel 2018 e finalista al Premio Scerbanenco, traduce con rara precisione nelle descrizioni l’intrecciarsi e sfilacciarsi delle singole vite.
Oltre che nell’acuta attenzione al dettaglio, la bellezza della sua scrittura sta nella precisione del linguaggio – che non è sfuggito a Lia Levi che l’ha proposta al Premio Strega 2021 – sempre pulito, puntuale, lucido.
Articola i frammenti e i dialoghi, asciutti, con un montaggio che opera salti temporali, livella vuoti e sutura distanze Mearini, conferendo dignità ai silenzi, che qui pesano altrettanto delle parole, e sono, a loro volta, pezzi di un altare alla madre, che soltanto una volta portato a termine lascerà la sua Agata finalmente affrancata e pronta alla costruzione di sé stessa.
Anna Vallerugo