Autore: Joyce Carol Oates
Data di pubbl.: 2017
Casa Editrice: Mondadori
Genere: memoir
Traduttore: Katia Bagnoli
Pagine: 313
Prezzo: Euro 22,00
Ho aspettato qualche giorno in più del solito a scrivere la recensione de “I paesaggi perduti” memoir di Joyce Carol Oates recentemente pubblicato da Mondadori, perchè cercavo le parole giuste per rompere il ghiaccio. Ed ora però, questa grandissima autrice secondo i veri esperti di letteratura americana e non solo, ha incontrato di persona, sapientemente accompagnata da Luca Briasco, i lettori italiani a Barolo.
Cosa posso quindi aggiungere io, a quanto ci racconterà Luca?
Sicuramente nulla. Sarà, senza dubbio stata un’esperienza impagabile, stare accanto a Joyce Carol, e sentirle raccontare a viva voce quanto invece io vi racconterò in queste righe, cioè quanto lei ha scritto in “I paesaggi perduti”, un memoir tecnicamente definito, un sincero racconto di grandi momenti della sua vita, secondo la mia definizione, di quella parte della vita, durante la quale maturava il suo genio, il suo desiderio, la sua qualità di scrittrice mondiale.
“Da bambini, cominciamo immaginando dei fantasmi e avendone paura. A poco a poco, durante la nostra lunga esistenza, finiamo per diventare quegli stessi fantasmi che abitavano i paesaggi perduti della nostra infanzia.” (p. 13)
Questo bellissimo libro inizia con due elementi fondamentali per la scrittrice, che sono i fantasmi e le fotografie. I fantasmi citati nelle poche righe iniziali che ho riportato creano una ambientazione per certi versi malinconica, che è quella di paesaggi perduti, e che possiamo riportare in vita appunto grazie alle rare foto conservate che stimolano i ricordi nostri e di Joyce Carol. Una scelta questa di inserire una serie di immagini, che ci permette di vedere qualcosa di più di quanto dicono le pur evocative parole dell’autrice.
E sono immagini di grande vitalità, immagini realizzate con la vecchia macchina a cassetta blu, non con tecnologie moderne, ma le persone in esse immortalate, i paesaggi, la natura, i colori e i contrasti descritti dall’autrice, le luci e gli sguardi, danno loro vita imperitura.
Joyce Carol ha una grande fortuna fin da piccola, cioè quella di una vita felice, garantitale da un famiglia accogliente, che le consente una vita dignitosa, che rimane tutto sommato sfiorata dalle problematiche generate dal secondo conflitto mondiale, all’inizio del quale Joyce Carolo viene al mondo. Tre personaggi, potremmo definirli così, danno alla vita di Joyce Carol un “La” ben intonato e rimarrano saldi ricordi e stimoli nel suo cuore: il pollo Happy (mai nome fu più azzeccato), colui che sarà il suo peluche vivente. Alice nel paese delle meraviglie, il personaggio fiabesco che insieme alla sua storia, farà sorgere in Joyce Carol il piacere della lettura e il desiderio profondo della scrittura. Blanche Morgenstern la nonna paterna che geneticamente e con gesti concreti quotidiani trasmise alla nipote la passione per i libri.
“Devo essere stata una bambina solitaria. So che ero riservata. Eppure devo aver amato la mia solitudine. Fino all’età di dodici o tredici anni trascorrevo le mie ore più felici vagabondando per campi desolati, per boschi, e lungo gli argini del fiume che passava vicino alla fattoria della mia famiglia.
Nessuno sapeva dove andassi. Nessuno avrebbe potuto immaginare quanto mi allontanassi. I miei genitori indagavano, e se indagavano, io che cosa dicevo? Ho camminato. Fino in fondo al sentiero. Lungo il fiume. Le nostre risposte sono vaghe e autoprotettive. Impariamo presto ad oscurare la verità, anche quando non può farci male.” (p. 75)
La vita della nostra autrice è come già detto, relativamente tranquilla e semplice, una vita che, sono certo, adorerebbero anche gli attuali bambini e adolescenti, nonostante ciò che dicono eminenti analisti. Le lunghe e continue passeggiate nei boschi, il silenzio e anche i suoni, e gli odori, e i colori, i gesti quotidiani della casa, regaleranno a lei miniere d’oro a cui attingere per i suoi capolavori letterari che oggi possiamo gustare.
Due fatti in particolare mi hanno colpito durante la lettura, due su tutti: l’incontro durante una delle sue passeggiate con un uomo che pesca, e soprattutto, l’esplorazione da parte sua, sempre in solitaria, di case abbandonate, dove Joyce Carol entra, scruta, odora, desidera anche rimettere in sesto.
Il tempo passa e arrivano così anche le esperienze dure, il primo contatto con la morte, quella del nonno, figura di riferimento speciale, ma oltre a tutte le esperienze negative, il suicidio della sua migliore amica, diciottenne. Un colpo durissimo.
Altrettanto intenso, ma bello in termini di resa per il suo futuro di scrittrice, sarà il cambio di scuola. Il nuovo liceo che frequenta la lancia a velocità incredibili verso l’università, dove comincerà anche a pubblicare i suoi primi racconti, dove conoscerà il fidanzato e dove apprenderà però anche un nuovo fatto durissimo: sua madre ha dato alla luce Lynn Ann, una sorellina che si rivelerà autistica.
“Da giovani si è particolarmente vulnerabili ai capricci della sorte: strappare una busta e scoprire che la tua vita ha intrapreso un corso che mai avresti presagito. Quando si è giovani ogni giorno può essere l’inizio di una grande avventura. E l’avventura può portare a crescita, felicità e prosperità, o al deragliamento, alla disintegrazione, alla disperazione.” (p. 183)
Gli anni scorrono, sempre più in fretta e “…eccomi sposata. Ero profondamente innamorata, e un po’ spaventata dalla mia nuova condizione in cui all’improvviso una persona ha cura di un’altra come ha cura di se stessa…”
Un nuovo cambio di residenza, genera un cambio netto di scrittura. Joyce e il marito si trasferiscono a Detroit e per sua stessa ammissione i soggetti della narrazione diventano sempre meno mitico-rurali e sempre più legati alla realtà urbana, e Joyce Carol Oates raggiunge livelli che oggi ben conosciamo e apprezziamo.
Avevo aperto questo mio racconto con tre personaggi, fra tutti il più simpatico il pollo Happy, ad introdurre la felicità della bambina Joyce Carol, e vado a chiudere con due oggetti, importantissimi per la nostra protagonista: il violino del padre, per lei intoccabile, e la trapunta colorata della madre, che tanto l’ha “aiutata” nell’accompagnare all’ultimo viaggio nel 2008, il marito.
“In extremis ci importa molto poco della vita pubblica – della “carriera” -, persino della vita della “letteratura”: è il conforto emotivo che bramiamo, ma tale conforto può venirci soltanto da poche fonti intime. So di essere stata molto fortunata, e non smetterò mai di essere grata per i miei meravigliosi genitori che mi hanno trasmesso il loro amore e le loro speranze e hanno fatto davvero tanto per rendere possibile la mia vita di scrittrice; e grata per la trapunta sul letto, bella e unica oggi come alla fine degli anni Settanta quando mia madre me la regalò. Per me è un sollievo che il violino di mio padre non sia andato perduto.”
Grazie a Joyce Carol Oates.