Autore: Thomas Williams
Data di pubbl.: 2015
Casa Editrice: Fazi editore
Genere: letteratura contemporanea
Traduttore: Manuppelli Nicola e Cuva Giovanni
Pagine: 478
Prezzo: 17,00 €
Prima di scrivere di questo capolavoro è giusto precisare una cosa. Non si può non fare un paragone con un’opera quale I falsari di André Gide. Chi si è cimentato in questo romanzo apparso nel 1924 creerà sicuramente un parallelo con quest’opera che nel 1975 vinse il National Book Award, ispirando anche scrittori del calibro di Stephen King. Insomma, Thomas Williams è un caposaldo della letteratura americana. Questo libro, però, è la sua prima opera tradotta nel nostro paese. Siamo nel 2015. Perché?
Commento con un semplice: ogni cosa ha il suo tempo. Ma così non è, dovrei essere più cattivo. Per il momento mi sento solo di ringraziare Fazi per averci dato la possibilità di venire a conoscenza di quest’opera fondamentale. Ma questo rimane un mio pensiero. Ora, però, è tempo di addentrarci nel libro. Un romanzo nel romanzo sul potere della scrittura e della narrativa.
Tutto si incentra sulla dicotomia Aaron-Allard. Il primo è un professore di letteratura inglese che sta scrivendo il suo libro, I capelli di Harold Roux, il secondo è il protagonista di quest’opera. La realtà e la finzione letteraria si mischiano, i processi compositivi si legano ai ricordi dell’autore. Alla fine ci si pone due domande: quanto di autobiografico c’è in un’opera letteraria? La finzione è sempre influenzata dal proprio trascorso? In tutto ciò si inserisce Harlod Roux, un giovane che nasconde le calvizie con un parrucchino rosso. A ben vedere è un personaggio secondario che appare poco ma a cui l’autore dà “concettualmente” il ruolo primario.
In questo intreccio si inserisce la vita reale dello scrittore, Aaron, alle prese con i problemi familiari e con quelli del lavoro. Il suo passaggio dalla penna alla vita quotidiana è intervallato da un’ansia atavica, come se a ispirarlo fosse il bisogno di confessare un abominio. Questa tensione ci verrà trasmessa anche a noi. A volte il libro scende di tono. Ci viene data la possibilità di riposare. Forse è lo stesso Williams che in alcuni momenti non riesce più a capire quello che sta facendo, non è più in grado di reggere la “trinità” Williams-Aaron-Allard.
Badate bene, questo non vuol dire che il romanzo sia senza né capo, né coda, anzi arrivati alla fine rimarrete di stucco; in quest’opera però scopriamo davvero cosa vuol dire scrivere un romanzo. Entreremo in contatto con i personaggi e con l’autore. Ho considerato questo libro un viaggio ben tradotto. Non conoscevo lo scrittore e dopo aver letto la sua biografia questo libro mi ha parlato ancor di più. Williams è un narratore puro, scrive storie, come Malamud e fa parte di quella letteratura americana che incanta per la trama e non per gli “effetti speciali”.
L’Italia ha dimenticato come si scrive e ha molto da imparare dalla “gente” d’oltreoceano. Eppure siamo stati noi i loro mentori, ma, come si dice “gli alunni battono i maestri” e qui ve ne è la prova. Williams è un critico acuto della società americana, la rivela e la schiaccia tra realtà e finzione. Ma prima della critica c’è la storia, c’è il gusto della narrazione… c’è Harold Roux con i suoi capelli rossi, c’è Mary e la sua etica, ci sono gli hippy e i benpensanti… ci sono gli uomini.
Un capolavoro da leggere che arriva tra le nostre mani con 40 anni di ritardo. Meglio tardi che mai direte voi. Io invece sono un po’ amareggiato.