Grandi riflessi – Primo Levi: Se questo è un uomo

Primo Levi

 

Titolo: Se questo è un uomo

Autore: Primo Levi

Prima edizione: 1947

Edizione usata per la recensione: La Biblioteca di Repubblica, 2002

 

 http://www.youtube.com/watch?v=yujSkb5h7do 

 

Questa non sarà una recensione perché ci sono libri che è impossibile descrivere; ci sono opere che devono parlare da sole e noi lettori possiamo solo raccontare il nostro rapporto con il testo. Così farò per Se questo è un uomo di Primo Levi, un libro che ha cambiato la mia esistenza, un’opera di cui parlo volentieri e che porto sempre nel cuore. 

La prima volta che mi recai a Cracovia per visitare il campo di Auschwitz era il gennaio del 2005 e io ero ancora una liceale. A quello sono seguiti diversi viaggi, ho accompagnato numerosi studenti, provato emozioni diverse e assistito a reazioni contrastanti, ma in quei momenti ho sempre consigliato e portato con me due libri: Se questo è un uomo di Primo Levi e La notte di Elie Wiesel.

In quest’articolo vi parlerò del primo libro. Scritta tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947, quest’opera preziosa per l’intera umanità racconta la vita all’interno del campo di concentramento di Auschwitz.

Il libro nasce da un incredibile bisogno di narrare quegli eventi terribili che avvenivano all’interno del campo e sarà il racconto di queste vicende a rendere i sopravvissuti spesso muti e incompresi, infatti nessuno riusciva a credere a quei racconti tanto duri e disumani. Tuttavia, ancora oggi, quando si visitano le celle, i dormitori e i bagni del campo è possibile scorgere disegni, racconti e parole incise sui muri, come se quelle anime devastate in quei momenti così terribili desiderassero, dopo aver perso la speranza di sopravvivere, lasciare traccia della propria esistenza e della propria sofferenza.

Primo Levi nacque a Torino nel 1919, dove morì nel 1987 (forse suicida), si laureò in chimica nel 1941 e quest’attività, che svolse anche al’interno del campo, probabilmente gli permise la sopravvivenza. Fu partigiano nel 1943 e poiché ebreo fu deportato prima nel campo di concentramento di Fossoli, poi in quello di Auschwitz. Fu liberato nel gennaio 1945 e tornò Torino lavorando fino al 1975 come chimico.

Se questo è un uomo venne pubblicato prima da un piccolo editore (De Silva) nel 1947 ma il successo dell’opera arrivò solo nel 1958 con la ripubblicazione di Einaudi.

Il primo impatto con il libro è come uno schiaffo in pieno viso per il lettore: la poesia iniziale sembra urlare la necessità di non dimenticare ciò che è stato e l’importanza di tramandare ai posteri questa terribile vicenda. 

Voi che vivete sicuri


Nelle vostre tiepide case,

Voi che trovate tornando a sera


Il cibo caldo e visi amici:


Considerate se questo è un uomo


Che lavora nel fango


Che non conosce pace


Che lotta per mezzo pane


Che muore per un si o per un no.


Considerate se questa è una donna,

Senza capelli e senza nome


Senza più forza di ricordare


Vuoti gli occhi e freddo il grembo


Come una rana d’inverno.


Meditate che questo è stato:


Vi comando queste parole.


Scolpitele nel vostro cuore


Stando in casa andando per via,


Coricandovi alzandovi;


Ripetetele ai vostri figli.


O vi si sfaccia la casa,


La malattia vi impedisca,


I vostri nati torcano il viso da voi.

(pag.5)

Se questo è un uomo è utile per comprendere la quotidianità all’interno del campo, per prendere coscienza delle atrocità che i prigionieri sopportavano, sia a livello fisico e sia attraverso la violenza psicologica che governava qualunque rapporto umano, anche rispetto alla natura matrigna che con vento e gelo affliggeva quotidianamente i prigionieri.

Quest’opera innanzitutto è una testimonianza storica. Attraverso gli occhi dell’autore, il lettore vive quei terribili momenti immedesimandosi in lui. “I giorni si somigliano tutti, e non è facile contarli. Da non so quanti giorni facciamo la spola a coppie, dalla ferrovia al magazzino: un centinaio di metri  di suolo in disgelo. Avanti sotto il carico, indietro colle braccia pendenti lungo i fianchi, senza parlare. Intorno, tutto ci è nemico. Sopra di noi, si rincorrono le nuvole maligne, per separarci dal sole; da ogni parte ci stringe lo squallore del ferro in travaglio. I suoi confini non li abbiamo mai visti, ma sentiamo, tutto intorno, la presenza cattiva del filo spinato che ci segrega dal mondo. E sulle impalcature, sui treni in manovra, nelle strade, negli scavi, negli uffici, uomini e uomini, schiavi e padroni, i padroni schiavi essi stessi; la paura muove gli uni e l’odio gli altri, ogni altra forza tace. Tutti ci sono nemici o rivali” (pag.42). 

Per poter preparare la visita ai campi di concentramento o per cercare di comprendere (anzi no, comprendere è impossibile), per provare a immaginare in cosa consistesse la vita di un deportato non si può prescindere dalla lettura di questo libro; anche le parti più scabrose e ripugnanti serviranno a preparare la vostra mente alle atrocità che si incontrano in quei luoghi. E’ bene interrogarsi anche sugli elementi che a noi oggi sembrano più banali, scontati e evidenti come ad esempio l’espletamento dei bisogni fisici. In quei luoghi di tortura e di privazione della dignità umana nulla era dato per assodato. 

“Devono essere passate le ventitre perché già è intenso l’andirivieni al secchio, accanto alla guardia di notte. È un tormento osceno e una vergogna indelebile: ogni due, ogni tre ore ci dobbiamo alzare, per smaltire la grossa dose di acqua che di giorno siamo costretti ad assorbire sotto forma di zuppa, per soddisfare la fame: quella stessa acqua che alla sera ci gonfia le caviglie e le occhiaie, impartendo a tutte le fisionomie una deforme rassomiglianza,e la cui eliminazione impone ai reni un lavoro sfibrante. 
Non si tratta solo della processione al secchio: è legge che all’ultimo utente del secchio medesimo vada a vuotarlo alla latrina; è legge altresì, che di notte non si esca dalla baracca se non in tenuta notturna (camicia e mutande), e consegnando il proprio numero alla guardia. Ne segue, prevedibilmente, che la guardia notturna cercherà di esonerare dal servizio i suoi amici,i connazionali e i prominenti; si aggiunga ancora che i vecchi del campo hanno talmente affinato i loro sensi che, pur restando nelle loro cuccette, sono miracolosamente in grado di distinguere, soltanto in base al suono delle pareti del secchio, se il livello è al limite pericoloso, per cui riescono quasi sempre a sfuggire alla svuotatura. […] In conclusione, è assai grave il rischio che incombe su di noi, inesperti e non privilegiati, ogni notte, quando la necessità ci spinge al secchio. Improvvisamente la guardia di notte balza dal suo angolo e ci agguanta, ci scarabocchia il nostro numero, ci consegna un paio si suole di legno e il secchio e ci caccia fuori in mezzo alla neve, tremanti e insonnoliti. A noi tocca trascinarci fino alla latrina, col secchio caldo che ci urta i polpacci nudi, disgustosamente caldo; è pieno oltre ogni limite ragionevole, e inevitabilmente, con le scosse, qualcosa ci trabocca sui piedi, talché, per quanto questa funzione sia ripugnante, è pur sempre prevedibile esservi comandati noi stessi piuttosto che il nostro vicino di cuccetta” (pag.65).

Cercare di capire è inutile, oltre che impossibile. L’unica cosa che come persone abbiamo il dovere di fare è rispondere alla richiesta di Primo Levi e di tutti i deportati che, a gran voce, chiedono di ricordare le vicende, gli individui e i volti per restituire a tutti quegli uomini e donne, che in gran parte oggi non ci sono più, quella dignità umana che venne loro negata e con disprezzo cancellata. 

Video per approfondire:

http://www.youtube.com/watch?v=cPOKXfHOuw4

http://www.youtube.com/watch?v=lA7Xa2ANx2c

http://www.youtube.com/watch?v=1tffs51lj14

http://www.youtube.com/watch?v=BDJEv-ApdxU (audiolibro) 

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