Grandi riflessi – Henry James: Giro di vite

Henry James

Titolo: Giro di vite

Autore: Henry James

Prima edizione: 1898

Edizione usata per la recensione: Einaudi, 2005

Nel 1970 Tzvetan Todorov, in un saggio ormai divenuto punto di riferimento indispensabile per gli studiosi di letteratura, dava una definizione molto chiara del genere fantastico: «In un mondo che è sicuramente il nostro, quello che conosciamo, senza diavoli, né silfidi, né vampiri, si verifica un avvenimento che, appunto, non si può spiegare con le leggi del mondo che ci è familiare. Colui che percepisce l’avvenimento deve optare per una delle due soluzioni possibili: o si tratta di un’illusione dei sensi, di un prodotto dell’immaginazione, e in tal caso le leggi del mondo rimangono quelle che sono, oppure l’avvenimento è realmente accaduto, è parte integrante della realtà, ma allora questa realtà è governata da leggi a noi ignote. […] Il fantastico occupa il lasso di tempo di questa incertezza; […] Il fantastico, è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali, di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale». Prendendo le mosse da questa acuta definizione possiamo affermare con sicurezza l’appartenenza del romanzo breve di Henry James, Giro di vite, al genere fantastico. È proprio sull’esitazione che si costruisce infatti questa inquietante storia che vede coinvolta una giovane istitutrice e i suoi due allievi e che, fino alla fine, lascia irrisolti dubbi, sospetti, ambiguità.

Nella notte di Natale un gruppo di amici, riuniti attorno al focolare di una vecchia casa, si intrattengono raccontando storie di paura. L’ultima, un racconto di fantasmi, suscita particolare attenzione tra i convitati perché protagonista ne è un bambino: “Se la presenza d’un bambino dà effettivamente un altro giro di vite, che ne direste di due bambini? -Diremmo, effettivamente, – esclamò qualcuno,- che sarebbero due i giri di vite. E poi che vogliamo conoscere la storia” (pag. 4).

Attraverso l’espediente del ritrovamento del diario manoscritto della protagonista, ci immergiamo nel racconto misterioso dimenticandoci, dopo poco, del contesto iniziale. Voce narrante è dunque quella della giovane istitutrice chiamata da un gentiluomo londinese a Bly, antica dimora nella campagna dell’Essex, per prendersi cura ed educare i suoi due nipoti rimasti orfani. La donna accoglie con entusiasmo il nuovo impiego che si rivela anzi fonte di gioie e soddisfazioni: i due bambini, Flora e Miles, dimostrano infatti capacità eccezionali, umane e intellettive, instaurando con l’educatrice un rapporto di piena armonia. L’incantata atmosfera di Bly si incrina però in un tardo pomeriggio d’estate: mentre la donna gode della sua ora di libertà, passeggiando nel parco, le appare dalla torre vecchia la sagoma di un uomo.

È solo l’inizio di una spirale di visioni demoniache che insidieranno la sua vita e quella dei bambini giacché, lei ne è certa, sono proprio essi ad essere più esposti al pericolo. Le apparizioni si fanno via via più insistenti, ma ciò che più allarma l’istitutrice è l’atteggiamento di Flora e Miles che, dietro all’angelica apparenza, sembrano nascondere qualcosa. Essi sanno: questa è la convinzione che si fa gradualmente strada nella sua coscienza. E non soltanto i due bambini sono a conoscenza di quelle terrificanti apparizioni ma, in qualche modo, ne sono complici.

“La loro bellezza più che terrena, la loro bontà assolutamente anormale, tutto ciò non è che un gioco, – continuai, – un’ostentazione, un inganno! – Da parte di quei piccoli cari… -…e tuttora due amabili bambocci? Sì, per quanto folle possa parere!” (pag. 95). 

In una solitudine spettrale, solo lievemente edulcorata dalla presenza della governante Grose, la protagonista intraprende la sua lotta disperata contro il male che insidia le due piccole vite e che assume i volti raccapriccianti dei fantasmi di Peter Quint e Miss Jessel, un tempo dipendenti presso la dimora di Bly, morti anni prima in circostanze misteriose. Ma è sul filo dell’esitazione todoroviana che si tesse la trama di questo sapiente racconto: fino alla fine la donna, e il lettore insieme a lei, sarà costretta a dubitare dei suoi stessi sensi. Chi sono realmente Peter Quint e Miss Jessel? Che ruolo hanno nella vita di Flora e Miles? Ma soprattutto: essi sono vivi o sono morti?

Con Giro di vite l’autore americano, fortemente influenzato dalla cultura europea, dà vita ad un classico del genere fantastico, da riscoprire non tanto per la tematica, già ampiamente nota nel 1898 quando fu pubblicato il racconto e poi sempre più sfruttata da letteratura e cinema, quanto per la maestria di una scrittura capace di portare a galla le inquietudini più recondite dell’io e il sentimento ambiguo del perturbante.

Attraverso una sottile indagine psicologica che sonda le profondità dell’animo, Henry James tratteggia con finezza i contorni di un’ossessione, lasciando il lettore in una insolubile condizione di perplessità. Soltanto alla fine, quando i fili sembrano districarsi e la storia trovare un lieto fine, una tragica evidenza darà ragione ai più lugubri sospetti.

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