Grandi riflessi – Albert Camus: Lo Straniero

Albert Camus

Titolo: Lo straniero

Autore: Albert Camus

Anno pubblicazione: 1942

Edizione usata per la recensione: Bompiani, 2002

Partendo dal  titolo originale,  L’Étranger, ci chiediamo se la traduzione più corretta non sia  “L’Estraneo”. Infatti,  il termine francese étranger può avere due accezioni: straniero, il protagonista Meursault è appunto un francese in Algeria, ed  estraneo perché incarna il dramma dell’indifferenza verso l’universo che lo circonda.

Meursault, giovane impiegato di Algeri, riceve un telegramma dall’ospizio di Marengo che gli annuncia la morte della madre. Dopo essersi recato per l’ultima volta da lei ed aver sbrigato le pratiche del caso, funerale incluso, Meursault sembra estraniarsi dalla realtà, complice l’afa del giorno che lo rende  ancora più insensibile agli eventi esterni e che lo porterà a compiere un delitto senza rendersene conto. Vive  il dramma del  momento  come  un sogno, in un doppio che caratterizza ogni azione del romanzo. Durante i giorni  di congedo per lutto, sembra aver già dimenticato l’accaduto:  fa il bagno al porto, incontra una sua ex, Maria, si divertono e, solo per caso, quest’ultima apprende della scomparsa madre. I giorni seguenti trascorrono in una rapsodia di eventi senza senso e nulla sembra essere cambiato. Meursault esprime indifferenza anche quando Maria gli chiede di sposarlo o quando il suo principale gli offre un impiego a Parigi. Una domenica, il protagonista e l’amico Raymond passeggiano sulla spiaggia, all’improvviso, scorgono due arabi. Ne segue una colluttazione tra uno dei due e Raymond che, in passato, aveva avuto una relazione con la sorella di quest’ultimo.

In seguito a questo episodio, Meursault  e Raymond ritornano alla spiaggia dove si trovano ancora i due arabi, mentre l’afa diventa sempre più insopportabile. Meursault, senza un perché, in uno stato di semi incoscienza, uccide uno dei due Magrebini con il revolver di Raymond con “quattro colpi netti che sferzano contro la porta dell’infelicità”. Anche quando uccide, la  mano omicida sembra essere estranea alla mente e  al  cuore. Ripeto sembra. Meursault è quindi arrestato ed interrogato dalla corte non tanto sul delitto  compiuto quanto sui sentimenti da lui provati o “non provati” nei confronti della madre. Non sembra mostrare o aver mostrato alcun rimpianto, né durante l’interrogatorio né durante la detenzione, nel corso della quale il tempo trascorre tra i ricordi, l’ozio e  l’indifferenza, almeno apparentemente. Durante il processo, in cui si sente spettatore e non protagonista, sfilano il direttore della casa di riposo della madre, il portinaio ed altri testimoni. Il presidente della corte lo  interroga  sulla vicenda della madre e sull’omicidio dell’Arabo e la corte apprende che Meursault non ha versato nemmeno una lacrima durante il funerale della stessa, che si è rifiutato di vederla per l’ultima volta e che ha fumato e bevuto un caffè, come se nulla fosse accaduto. Ma di che cosa lo si accusa? Dell’indifferenza mostrata o dell’omicidio di un uomo?  Il procuratore risponderà dicendo che Meursault è colpevole di aver sepolto la madre con un cuore da criminale.

Intanto, continua a mostrarsi estraneo sia alla società sia a se stesso. La corte decide così la sua condanna a morte. In cella si rifiuta di vedere il cappellano, simbolo di una vita ultraterrena in cui non crede. Prossimo alla condanna, Meursault si augura che il giorno della sua esecuzione ci siano molti spettatori ad accoglierlo con urla di odio che romperanno  così il  muro dell’apparente indifferenza. Uso questo termine non a caso. Come può, infatti, la società sondare la psicologia di un uomo, giudicandolo solo in apparenza? E L’Étranger è il dramma dell’indifferenza. Meursault si rende conto dell’assurdità dell’esistenza: l’uomo, che è razionalmente proiettato verso certezze, vive una realtà senza fondamenta. Per tale ragione, decide di estraniarsi, di sfidare, quindi, l’esistenza stessa, come aveva fatto Sisifo, accettando incondizionatamente il proprio destino, senza  reagire, perché reagire significa negare il dominio della ragione sugli eventi. Meursault si ribella contro l’assurdità dell’esistenza umana, in cui le azioni si susseguono senza una ragione né uno scopo, secondo l’acronimo MBD,  métro (metropolitana, mezzo di trasporto), boulot (lavoro), dodo, (nanna, dormire, casa),  in voga in Francia negli anni ’50 e ‘ 60, tratto da una poesia di  Pierre Béarn, ovvero la ripetizione  insensata delle medesime azioni che rendono i protagonisti di Camus, nella fattispecie Meursault, del tutto simili a Sisifo, condannato dagli dei dell’Olimpo a spingere un masso fino alla cima che poi ricadrà a terra una volta raggiunta la vetta stessa.

Il protagonista del romanzo camusiano è  un eroe, un personaggio extra-ordinario, fuori dal comune, vittima, come un eroe greco o romantico – pensiamo a Hernani di Victor Hugo – di una volontà superiore di cui non si conoscono né l’origine né la ragione, il cui epilogo è rappresentato solo dalla morte, come fuga da un’esistenza che non ammette compromessi tra l’uomo e il mondo. Anche il nome è emblematico: Meurt ha la stessa radice di mort, morte, e sault è omofono di saut, salto, cioè salto nella morte. Tuttavia, Camus proporrà un’alternativa alla morte nel romanzo La Peste, teatro della lotta collettiva degli uomini contro  il male, uniti in un nuovo Umanesimo di solidarietà.

Docente di lingua e civiltà francese presso l'Isis "Stein" di Gavirate (VA) e presso la SSML (già Istituto Universitario per Interpreti e Traduttori) di Varese.

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