
Autore: Pancol Katherine
Data di pubbl.: 2011
Genere: Romanzo
Traduttore: Raffaela Patriarca
Pagine: 762
Prezzo: 20
Katherine Pancol comincia la sua narrazione con il libro “Gli occhi gialli dei coccodrilli” per passare a “Il valzer lento delle tartarughe” e finisce con “Gli scoiattoli di Central Park sono tristi il lunedì”.
Dopo averli letti tutti e tre affermo con certezza che i libri sono autonomi, anche se gustarli uno dopo l’altro è un vero spasso.
I tre animali (coccodrilli, tartarughe e scoiattoli) fanno da anello di congiunzione, ispirano l’autrice e creano dei motivi ricorrenti in ciascun volume.
Nell’ultimo libro della trilogia che si svolge tra Parigi, Londra e New York, la protagonista Josephine trova l’ispirazione per un nuovo romanzo e così facendo riprende in mano la propria vita.
Il suo editore la sprona a scrivere nuovamente affermando:
“Sa, Josephine, la scrittura contrariamente a ciò che credono in molti, non è una terapia…non guarisce niente. Niente di niente. E’ una rivincita sul destino e lei, se non mi sbaglio, ha un’enorme rivincita da prendersi.”
E poi continua così:
“…Scrivere significa afferrare la propria sofferenza, guardarla in faccia e metterla in croce. Poi, che uno se ne sbatta o meno di essere guarito, ci si è ripresi la rivincita…Abbiamo fatto qualcosa di tutta quella tristezza e talvolta si tratta di qualcosa che ci permette di vivere o di ricominciare a vivere, a seconda…”
A sedurre la fantasia di Jo, è la storia di un ragazzo che chiama il “Piccolo Gentiluomo” e della sua importante amicizia con il famoso attore Cary Grant. Ecco uno stralcio di ciò che Cary Grant dice al Piccolo Gentiluomo:
“ …Ho capito che i miei genitori non erano responsabili, che erano il risultato della loro educazione, degli errori dei loro genitori, e ho deciso di conservare i ricordi migliori. E di dimenticare il resto…Sai, my boy, tuo padre e tua madre finiscono sempre per presentarti il conto e fartelo pagare. E’ meglio pagare e perdonare. La gente crede sempre che perdonare sia un gesto di debolezza, io penso esattamente il contrario. E’ quando si perdonano i propri genitori che si diventa forti…”
La storia del Piccolo Gentiluomo fa capire a Jo che può osare, che non deve avere paura dei propri sogni:
“Ci si burla delle persone che sognano, le sgridiamo, le fustighiamo, le riportiamo con i piedi per terra, diciamo loro che la vita è brutta, triste, che non c’è futuro, nessuno spazio per la speranza, dandole dei colpetti sulla testa perché imparino bene la lezione. Si inventano per loro necessità di cui non hanno bisogno, portandogli via tutti i soldi. Vengono tenute prigioniere. Rinchiuse a doppia mandata. Si impedisce loro di sognare, d’ingrandirsi, di rialzarsi…E tuttavia…Tuttavia…Senza sogno non siamo che poveri esseri umani con braccia prive di forza, gambe che corrono inutilmente, una bocca che inghiotte aria, degli occhi vuoti. Il sogno è ciò che ci avvicina a Dio, alle stelle, e ciò che ci rende più grandi, più belli, più unici al mondo…E’ così piccolo, un uomo senza sogni. Così piccolo, così inutile…Fa male vedere un uomo a cui resta solo il quotidiano, la realtà del quotidiano. E’ come un albero senza foglie. Bisogna mettere le foglie sugli alberi.E tanto peggio se alcune cadono, ne rimetteremo altre. Ancora e ancora, senza scoraggiarsi…E’ nel sogno che le anime respirano, che si intrufola la grandezza dell’uomo.”
Intatnto le figlie di Jo sono impegnate a costruire la propria vita; Hortense pensa alla propria carriera e Zoe si innamora per la prima volta.
Henriette (madre di Jo) cerca di fregare nuovamente l’ex marito Marcel. Nella truffa si fa aiutare da Chaval, cinico, lesto furfante, subdolo, una vera e propria “larva” che una volta era stato l’amante di Hortense ed ex collaboratore dello stesso Marcel. Ecco uno stralcio di soliloquio mentale di questo ambiguo personaggio:
“ Si concentrò sulla chiave, sul denaro, sul cento per cento che presto avrebbe incassato, alla Mercedes cabriolet grigio fumo, ai sedili rossi, ai culetti delle ragazze che li avrebbero accarezzati…si diceva che dare qualche furioso colpo di reni a una zitella che si dibatteva sotto il suo cuscino non era un prezzo troppo alto”.
Una cosa che non ho ancora detto della Pancol è che usa spesso l’humor e il sarcasmo; la Pancol fa ridere!
Il finale mi è piaciuto particolarmente, perché la scrittrice usa una tecnica per cui te lo lascia immaginare, ti guida versa la sua idea, ma non la racconta direttamente.
Direi proprio che la Pancol usa tutta la sua abilità, unisce gli ingredienti, esattamente come quando si fa una buona torta: l’insieme è più della somma delle singole parti. Il risultato è squisito.
Buon appetito!