Grande successo ieri per il Premio Chiara- Festival del Racconto e il Comune e la Pro Loco di Azzate: quattrocento persone in un teatro di provincia alle sei di sera ad ascoltare Paolo Crepet. Sembra un piccolo miracolo, ma in realtà è ciò che accade quando si discutono temi che interessano le persone nel profondo, con il carisma di un uomo che racconta la propria professione e la propria filosofia con autenticità. Il messaggio passa forte e chiaro e come dice Bambi Lazzati, la direttrice artistica del Premio, al termine dell’incontro “tutti noi usciamo un po’ trasformati”.
Paolo Crepet quando parla usa tutti i toni, dall’ironico al tragico, passando attraverso di essi con una rapidità che incanta e costringe quasi a trattenere il fiato.
Ermanno Paccagnini, professore e critico letterario, lo introduce dando il la ad una narrazione che corre sul filo di una figura fondamentale: quella dell’uomo, del padre biologico, ma anche professionale (come Franco Basaglia). Crepet sottolinea che è un argomento emerso anche durante il Premio Campiello, di cui è stato presidente di giuria. Gli scrittori hanno parlato di mancanza, ricerca, debolezza della figura paterna. <<Mio padre è stato un grande allenatore : mi ha fatto volare piano, pensando poi che avessi le ali per poter andare avanti. Sono riuscito a scrivere della mia famiglia quando è passato del tempo, quando si è creata una giusta distanza emotiva così ho potuto avere uno sguardo di prospettiva: ho avuto più cose da dire ho aperto qualche cassetto ed era importante per me farlo>> Smitizza, smonta e ricostruisce Crepet: prima la sua professione, poi la crisi, la meritocrazia, il dolore, il talento.<<Il mio lavoro è stato purtroppo spesso interpretato come voyeurismo dei dolori altrui. Io ho una visione diversa, dinamica: il dolore nasce e si aggrava quanto più sei fermo, mentalmente parlando. Il mio ruolo non è dare pacche sulle spalle: è un lavoro duro, che non può essere tradotto in buonismo. Non so da dove cominciare i ringraziamenti per tutte le storie che ho ascoltato, mai banali e nemmeno prevedibili. Il mondo è fatto di talmente tante vite e l’unica cosa che puoi fare è accompagnarle: ho capito con l’esperienza che nel mio mestiere esiste la comprensione non la guarigione. Non devi guarire, ma crescere e anche io sono cresciuto con le persone con cui ho avuto a che fare>>. Parla anche dei mali della nostra società, non per piangerci addosso ma per affrontarli con coraggio e lucidità: <<Abbiamo pensato che fosse intelligente ciò che è comodo, abbiamo voluto il buonismo e il condono educativo. Per me invece il merito è una parola sacra: le cose o le sai fare o no. Noi abbiamo voluto la terza possibilità: la mediocrità. E’ comoda per tutti insegnanti, studenti, genitori, ma ciò ha gravi conseguenze<<. E consegna alla platea una domanda purtroppo molto attuale: <<Sareste disposti a farvi curare da un medico mediocre?>>
Emerge poi una sfida per il futuro: la tecnologia è utile, ci rende liberi, a patto di saperla usare senza uccidere i rapporti.
<<Oggi possiamo andare in una libreria e sederci sul divano, è diventato un luogo d’incontro. Possiamo darci appuntamento liberamente durante la giornata, bere un caffè insieme” L’uomo di oggi non deve essere un gran lavoratore, come si diceva una volta, ma sapersi volere bene e amare. “Abbiamo di fronte una grande opportunità: quella di poter usare bene il nostro tempo>>
In conclusione la felicità, tematica del nuovo libro in uscita per Einaudi, cercando in tutti i modi di evitare il rischio di essere banali <<La felicità è nevrotica: quando l’hai raggiunta è già finita. Ma a quel punto sei già pronto per ottenerne un’altra: è un obiettivo, un anelito, vive nel progetto del futuro. Non è gaiezza, ma impegno…a meno che non pensi che sia godersi l’attimo come vorrebbero tutti quelli che devono venderti un prodotto>>.
Le ultime parole sono per l’autostima, vera colonna portante della nostra vita: essere chi siamo con meno plastica, meno onnipotenza, normali con la nostra naturalezza.
Alla fine della conferenza abbiamo avuto la possibilità di rivolgere a Paolo Crepet alcune domande.
A quale tematica che ha trattato nei suoi libri è più legato?
A nessuna in particolare perché in realtà mi piacerebbe un giorno fare un “librone” con tutti i miei libri dentro. Nelle cose che ho scritto ci sono spesso inevitabilmente delle ripetizioni e delle sovrapposizioni. A me non piace l’idea di aver fatto prima una cosa poi un’altra, mi piace la continuità
Qual è il valore fondamentale che le hanno trasmesso i suoi maestri, citandone uno per tutti Franco Basaglia?
I miei maestri non mi hanno mai elogiato, ma hanno saputo credere in me. La pacca sulla spalla te la può dare chiunque, anche per convenienza. Gli insegnanti e i maestri di oggi avrebbero bisogno di un supervisore, che li aiuti ad aver meno paura di sbagliare.
Qual è il suo rapporto con la lettura e la scrittura?
Quest’anno, per il mio ruolo al Campiello, è stato un lavoro corposo: ho dovuto leggere tanto e di tutto. Io normalmente quando scrivo leggo poco, mi distrae. Secondo me per scrivere bene ci vuole un po’ di ignoranza, se no si tende ad imitare, a copiare. L’originale è sempre un po’ ignorante.
Come si è trovato nel ruolo di presidente di giuria di un premio letterario importante come il Campiello?
Io credo che si siano trovati bene con me, perché ho l’abitudine di entrare nei posti nuovi in punta dei piedi. Da parte mia l’ho presa come un’esperienza che la vita mi ha regalato.