Autore: Moreno Eloy
Casa Editrice: Corbaccio
Genere: Romanzo
Pagine: 379
Prezzo: 16.40
INTERVISTA ALL'AUTORE
Una volta c’erano gli editori che leggevano i manoscritti e li cestinavano. Veramente, ci sono ancora. Infatti, quando il trentasettenne spagnolo Eloy Moreno ha provato la prima volta a pubblicare il suo romanzo “Ricomincio da te”, alcune porte in faccia non sono mancate e altre, semplicemente, non gli sono state aperte.
Eppure, l’agguerrito autore non ha desistito: forte dei nuovi mezzi di comunicazione offerti dai social network e più in generale da Internet, ha finito per suscitare la curiosità della celebre casa editrice spagnola Espasa, che nel 2011 ha pubblicato il suo libro in 60 mila copie.
Un vero fenomeno dei nostri giorni, insomma, che rivela quanto sia forte il passaparola innescato dalla Rete e quanto possa a volte la forza di volontà dell’individuo, se dotato della giusta dose di fiducia e intraprendenza. Basti pensare che all’inizio Moreno – come si legge in un’intervista allo scrittore inclusa dalle Edizioni Corbaccio al fondo del volume – si era dato da fare per stampare e rilegare il libro a proprie spese. Sua madre lo sporgeva ai negozianti mentre faceva la spesa e i suoi amici lo regalavano ai vicini. E tutti si dichiaravano colpiti dalle vicende narrate, forse perché un po’ somiglianti alle loro, forse perché un po’ vicine a quelle di tutti i lettori.
Il protagonista infatti è un uomo come tanti, vicino alla quarantina, sposato con la bella Rebi e con un figlio piccolo di nome Carlitos. Lavora in un’azienda di software come programmatore informatico e non ha più tempo per la vita: per quella vera, almeno, che ha lasciato lontano nel tempo dell’infanzia, quando ancora ad ammagliarlo c’erano le montagne dei Pirenei d’estate e la costruzione di una casa sull’albero con il fedele amico Toni.
Un’infanzia, questa, che si interrompe bruscamente a causa di un brutto incidente e di un piccolo, ma significativo particolare: Rebi si innamora di lui, non di Toni. E quest’ultimo sparisce per molto tempo, anche se a un certo punto sarà destinato a ricomparire nella sua esistenza, e ovviamente non per caso.
Nel frattempo, l’età adulta sta tutta nei metri quadri a sua disposizione per vivere: 89 quelli di casa, 3 quelli dell’ascensore, 8 quelli del garage, 50 quelli del ristorante della pausa pranzo, 30 quelli del bar, 90 quelli della casa dei suoceri. Oltre questo spazio, il giovane adulto (espressione paradossale ma che gli calza a pennello) non ha luogo in cui muoversi: solo una volta, quasi per sbaglio, si ritrova in un parco, seduto a ricordare gli occhi verdi di una bambina incrociati per caso, con la faccia tra le mani. Pensa che un giorno potrebbe rivederli in quelli di una possibile nipotina, seduta sulle sue ginocchia a porgli la fatidica domanda: “E tu, nonno, cos’hai fatto da giovane?”.
La sola risposta – quanto mai avvilente – sarebbe solo e unicamente di sei lettere: “Niente”.
Trent’anni trascorsi dal mattino sino all’ora di cena dietro lo schermo di un computer, in luoghi asettici dove la macchinetta del caffè pare il solo punto per sporadiche e superficiali conversazioni con altri esseri umani più o meno abbattuti e stanchi, al protagonista paiono decisamente sprecati.
A questo si aggiunge un amore sempre più spento per la consorte, silenzi pesanti che calano sulle loro teste e un figlioletto affettuoso che inizia a baciarlo più per costrizione che per slancio.
Interessanti ma vagamente patologici gli stratagemmi per sfuggire alla monotonia: dall’ossessione per la penna misteriosamente sparita dalla scrivania a quella per gli oggetti custoditi nei cassetti dai colleghi.
Solo una fuga in grande stile può risollevare le sorti di questo piccolo uomo dei giorni nostri: fra le montagne il protagonista riuscirà a raggiungere il culmine di quella disperazione che, sola, può rimetterlo coi piedi per terra e consentirgli di ricominciare, non senza alcuni importanti colpi di scena.
Non è, del resto, il punto di svolta, il cambiamento la più diffusa delle odierne chimere? Proprio in questo risiede, a mio modesto avviso, l’attrattiva di questo libro: nel dare voce a un disagio diffuso, alla paradossale mancanza di tempo nell’esistenza frenetica di milioni di persone prigioniere dell’orologio, all’ostinata insoddisfazione del presente, all’incontentabilità negli affetti, all’incapacità di parlarsi e di ascoltarsi reciprocamente.
La prosa è semplice, così tanto a volte da esserlo troppo, e finisce per spargere, qua e là nella narrazione, espressioni così comuni da essere banali, nauseanti nel riprodurre l’assenza di bellezza del linguaggio stantio cui spesso, senza accorgercene, ci abbandoniamo nella quotidianità.
Uno stile così piano può scoraggiare gli amanti della letteratura più ‘alta’, ma la storia si legge tutto d’un fiato e non macano spunti affascinanti. Ad esempio, il ricordo dell’amicizia con Toni, insieme con il particolare un po’ raccapricciante dell’incidente nella casa sull’albero, condensa in poche righe il senso di dolcezza misto a malinconia e dolore dell’infanzia del protagonista, erede (seppure in tono minore) di tutti gli Zeno Cosini e i Mattia Pascal che già furono.