
Autore: Gardella Massimo
Casa Editrice: Guanda editore
Genere: romanzo giallo
Pagine: 285
Prezzo: 17.50 €
“L’ispettore era sicuro che tutti rivelassero al mondo solo la punta dell’iceberg emotivo che si portavano appresso, scolpito nel codice genetico. Dall’impiegato della posta al premio Nobel, chiunque nascondeva abissi dove luci e ombre lottavano per la supremazia” (pag. 142).
In Chi muore prima Massimo Gardella ci mostra la <<ricetta>> per un giallo d’autore. Prendete come sfondo la campagna pavese, monotona e nebbiosa tra risaie abbandonate e lunghi viali di pioppi, aggiungete nel giro di poche ore cinque suicidi di adolescenti appartenenti allo stesso istituto polifunzionale, ritrovati tutti impiccati senza un’apparente motivazione a suscitare la preoccupazione delle famiglie e l’attenzione dei media, per quella che sembra essere “un’epidemia di suicidi”. Mescolate la figura di un ispettore di polizia italo-rumeno, Remo Jacobi, stanco e devastato moralmente dal senso di colpa per non aver salvato la figlia, morta tempo prima, con il successivo divorzio dalla moglie. Allungate il tutto con il personaggio di un vice ispettore, Antonio Borghesi, carico di energia e voglia di carriera e molte idee per risolvere il caso, pronto a tutto per spodestare il superiore dalla sua poltrona. Servite una serie di famiglie che appaiono più prese dal lavoro, dal problema della crisi e dalla quotidianità, che dalle morti dei loro figli. A piacere potete spolverare quanto basta: una preside di istituto più occupata alla burocrazia scolastica, che all’educazione e all’istruzione dei suoi alunni; un bidello molto vicino agli studenti, che trova normali le “bravate” di questo genere, soprattutto di certi teppisti; una società alla deriva, che tende quasi a giustificare un gesto estremo come il togliersi la vita, vedendolo come una liberazione dal problema, piuttosto che il problema stesso.
L’ispettore ed il suo vice si trovano a ricercare la soluzione del caso, lavorando più da antagonisti che da colleghi: da una parte Antonio Borghesi, orientato al risultato, al metodo e alla chiusura del caso; dall’altra Remo Jacobi, preoccupato soprattutto di ricercare informazioni che spieghino le motivazioni di un simile gesto, esplorando i meccanismi della mente e dell’anima e mettendosi a sua volta all’interno della ricerca.
“Per Jacobi, indagare non si limitava alla risoluzione di un crimine, ma era soprattutto la raccolta di informazioni che avrebbero innescato una reazione con quelle già memorizzate: nomi e luoghi, date e coincidenze, dettagli” (pag. 137).
Il romanzo è caratterizzato da capitoli molto brevi. La trama è pulita e lineare. Il lettore, messo subito a conoscenza dei casi di suicido, si ritrova per tutto il romanzo vicino ai due investigatori che corrono da una parte all’altra alla ricerca di informazioni, con la sensazione di essersi smarriti o di aver intrapreso la strada sbagliata. L’effetto che si crea è quello di suspense per la soluzione dei casi, protratto fino all’ultima pagina.