Bloodsong – Allen Ginsberg

Titolo: The Bloodsong
Autore: Ginsberg Allen
Casa Editrice: Il Saggiatore
Genere: Narrativa
Pagine: 157
Prezzo: 15.00 €

Leggere Allen Ginsberg nel suo Bloodsong, è come fare un viaggio nell’America degli anni ’40, in un momento in cui i giovani umanisti delle grandi università iniziavano a domandarsi se lo stile letterario che studiavano sui libri non fosse troppo vecchio e datato, scollato dalla realtà che vivevano ogni giorno.

Il diario di Ginsberg è spezzettato, onirico, spesso simbolico, poco chiaro per chi non avesse mai sentito parlare – o letto – della Beat Generation, di Ginsberg stesso o di Kerouac e Burroughs. Fornisce però un bel racconto dei tormenti giovanili che hanno portato poi all’immensa produzione editoriale che ha cambiato la letteratura americana.

Ci troviamo a New York tra il 1943 e il 1945, in un momento in cui la Seconda Guerra Mondiale era ancora vissuta dagli statunitensi come un conflitto troppo lontano per essere tangibile, convinti di poter vincere una guerra senza combatterla. Un periodo raccontato anche da Jack Kerouac nel suo primo romanzo, La città e la metropoli (1950).

L’episodio sul quale ruotano tutti i racconti di Bloodsong è l’omicidio di David Kammerer per mano di Lucien Carr, due personaggi fondamentali per il gruppo di giovani scrittori che poi darà vita al movimento “beat” circa una decina d’anni più tardi. L’evento tragico è la molla che in seguito darà vita al movimento beat, cementando l’unione di Jack Kerouac, Allen Ginsberg, William S. Burroghs e Lucien Carr. Ufficialmente è riportata come una reazione di Carr alle pressanti avances di Kammerer. Allen Ginsberg abbozza, alla fine di questa raccolta, un romanzo, dal titolo Bloodsong, che resterà incompiuto a causa del suo insegnante d’inglese, il quale lo dissuase per evitare pubblicità negativa alla Columbia University, dove i ragazzi studiavano. Nel romanzo tenterà di raccontare come è andata realmente la storia, ma esso è meno importante di ciò che il diario rappresenta. Lo sviluppo dei pensieri, dei discorsi, delle personalità, i pregi e difetti dei padri della Beat Generation emergono dai racconti di vita quotidiana e dalle poesie di Allen Ginsberg, diciottenne, che osserva il mondo con occhio ingenuo ma già consapevole che l’interpretazione di ciò che vede è spesso fuorviante, dettata da schemi imposti che raramente appartengono a chi li utilizza.

Il limite di questo libro, curato in questa edizione da James Grauerholz, scrittore e manager di Burroughs (consigliato proprio da Ginsberg) dal 1970 alla sua morte, è quello di non essere un libro. Le note posizionate facilitano la comprensione ma sarebbe stato opportuno lasciarle a pié di pagina invece di posizionarle alla fine; è vero che le pagine “pulite” sono più fedeli al diario originale, ma per comprendere i pensieri e i commenti di Ginsberg sono necessarie alcune contestualizzazioni che,a leggersi nelle ultime pagine, sono un po’ scomode.

L’opera svela importanti retroscena sulla figura di Lucien Carr, il vero nucleo del “Circolo dei libertini”, nome che Ginsberg diede ironicamente al gruppo di amici. Carr, che poi scontò due anni di carcere per l’omicidio di Kammerer, divenne un affermato giornalista della United Press International, e pur essendo il collante tra tutti gli scrittori beatnik non scrisse mai un libro. Fu confidente di Ginsberg e Kerouac anche quando quest’ultimo, negli ultimi anni della sua vita, impazzì e si diede all’alcolismo. Per capire meglio l’evoluzione del movimento Beat e la produzione letteraria che ne derivò è necessario conoscere quanto accadde in quel lontano 1944, un omicidio ripreso in diversi romanzi ma soprattutto, e in maniera più chiara, nel diario di Allen Ginsberg. La sua raccolta è un racconto mosso dalle sofferenze della vita quotidiana, nella quale cercava costantemente l’arte come diretta conseguenza del dolore: «La vita ci ferisce – scrive Ginsberg – quindi anche l’arte ci deve ferire».

 

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