Nella splendida cornice del giardino nell’NH Hotel al Lingotto di Torino incontriamo, in occasione del Salone del Libro, la scrittrice Giuseppina Torregrossa, che ci accoglie con un grande sorriso e le voglia di raccontarsi, in compagnia dell’amato sigaro con cui spesso la vediamo ritratta. Parliamo del suo ultimo libro “La miscela segreta di casa Olivares”, storia che parla di caffè, di donne e di Palermo.
Da dove nasce l’idea di questa storia? Dal profumo di caffè, dalla città di Palermo o dalla voglia di dare vita ad una storia al femminile?
Il caffè è il vero filo conduttore del romanzo. È uno dei miei primi ricordi: quando ero piccola, avrò avuto quattro anni, ricordo che mio nonno beveva sempre il caffè e me ne dava un po’. Per me era un sapore proibito, un alimento dei grandi, degli adulti. Da ragazzina rubavo la polvere del caffè e la miscelavo con lo zucchero; il risultato è che spesso non dormivo, ma quello del caffè rimane un profumo di famiglia, legato alla tenerezza e alle emozioni. Mio padre era un uomo che in casa non faceva nulla, se non preparare il caffè e portarlo a mia mamma, a letto: un gesto dolcissimo. Il caffè poi è diventato un compagno di vita, legato agli affetti che poi hanno segnato le strade femminili e quelle di Palermo.
C’è un parallelismo tra la città di Palermo e il personaggio di Genziana?
Le loro storie hanno due destini paralleli. L’infanzia di Genziana è felice grazie alla felicità del cuore e alla fortuna di essere benestante; Palermo, nei primi anni quaranta è una città felice anzi “felicissima”, perché questo significa il suo nome: le montagne proteggono un golfo bellissimo. La guerra porta per entrambe un dolore e un’infelicità profonda. Per Genziana ha inizio una vita fatta di privazione di cibo e di affetti e la sua vita ha un tracollo come la torrefazione, guidata dal padre come farebbe un buon padre di famiglia. Genziana tuttavia proprio grazie alle privazioni riesce a trovare il suo nucleo di forza, mentre Palermo non riesce più a trovare la sua felicità; anche oggi la città è guidata da imbelli e da imbecilli, incapaci più che cattivi amministratori. I palermitani sono capaci di atti di grandi generosità e ciò che colpisce della città è la commistione di ricchezza e povertà, ma è proprio dalle differenze che nasce qualcosa, una fonte di energia che manca nelle altre città d’Italia
Genziana riesce a ricrearsi una vita, a rinascere. Questo grazie anche alle amicizie, alla capacità di imparare dagli altri. Come scrittrice, chi l’ha aiutata a maturare e crescere?
Prima di tutti Giulia Ichino, con cui ho un contatto molto stretto che mi ha aiutato a scrivere meglio e dare senso alle mie storie, mi ha aiutata come donna e ha avuto cura di me, che è un concetto molto diverso da quello del semplice curare. Ho poi una rete di amiche straordinarie: il personaggio di Lalla è il ricordo di una di loro, un’amica a cui devo molto e che mi ha fatto crescere e mi ha insegnato che quando hai un problema la cosa importante non è trovare una soluzione, ma un metodo con cui trovare la cosa giusta da fare non solo in quella specifica situazione.
Nel romanzo le figure femminili hanno un ruolo centrale e grande importanza ha la solidarietà tra donne. Pensa che le alleanze femminili, spesso rare, possano cambiare in meglio il corso degli eventi?
Le relazioni femminili sono il pane della vita, è importantissimo fare rete. Io sono una vecchia femminista ma ho molto sofferto della competizione sterile tra donne: abbiamo importato modelli maschili che non sono nostri e ci siamo perse. Personalmente devo moltissimo alle donne e ringrazio la mia capacità di aver saputo distinguere le relazioni che mi avrebbero aiutato a crescere da quelle che mi avrebbero precipitato in una baratro di inadeguatezza.
Infine un saluto e un augurio per tutti “Gli Amanti dei libri”.
Il libro è stato per me un amico di infanzia, una fase non facile della mia vita: i miei genitori erano dotati di una grande intelligenza, che era tuttavia poco emotiva. Nell’adolescenza la mia obesità mi ha creato moltissime difficoltà sociale a cui sono sopravvissuta proprio grazie ai libri, il mio salvagente, il mio paracadute, i miei sogni, i miei affetti, le mie radici: tutto quello di cui avevo bisogno potevo trovarlo nei libri. Sono dimagrita, ma l’amore per i libri è rimasto. Penso che la magia della parola non potrà mai essere sostituita dalle immagini: gli strumenti interattivi di oggi ci hanno tolto il mistero, quella zona d’ombra in cui solo leggendo un libro mettiamo qualcosa di nostro e scopriamo in ogni età della vita nuovi significati.