Walter Veltroni, già sindaco di Roma e vicepresidente del Consiglio, attualmente deputato del Pd, è autore del libro “L’inizio del buio”, un saggio dedicato al ruolo dei mass media. L’autore analizza due casi emblematici, occorsi entrambi nel 1981; la tragedia di Vermicino dove morì il piccolo Alfredino Rampi e il rapimento e l’uccisione di Roberto Peci, fratello di un brigatista pentito. Abbiamo intervistato Veltroni, che ci ha risposto tra una pausa e l’altra dei lavori parlamentari.
Onorevole Veltroni, la vicenda di Alfredino ha segnato una sorta di spartiacque nel mondo di comunicare dei mass media le vicende di cronaca; tutti sanno di quella tragedia, compreso chi nel 1981 non era nato o era piccolissimo come il sottoscritto. Per quale motivo secondo lei?
Con quella vicenda per prima volta la tv entra nella vita, nel momento più drammatico della vita di una persona, di un bambino, e non si arresta, non si pone limiti, non si ferma di fronte a niente e nessuno. Tutto viene presentato come dovere di raccontare la realtà, quando invece è egoismo, coperto da un dichiarato obbligo di raccontare la realtà. Il risultato è una diretta di tre giorni, con una inquadratura praticamente fissa, all’imbocco di un pozzo. Faccio sempre l’esempio, che mi è rimasto davvero impresso, di quella signora che arriva in taxi, il giorno in cui finalmente il corpo di Alfredino viene portato al cimitero, e che di fronte alle autorità che gli impediscono di vedere quel che lei voleva vedere si lamenta, protesta, rivendica il fatto di aver assistito a tutta la diretta e chiede il rimborso della spesa del viaggio. Un episodio piccolo ma agghiacciante. L’inizio di quel deserto di valori che in questi trent’anni è avanzato pesantemente.
Di contro il dramma di Roberto Peci “oscurato” dalla tragedia di Vermicino; i due eventi sono facce della stessa medaglia?
In qualche modo sì. Pensate solo alla scelta dei brigatisti di riprendere momenti della prigionia e soprattutto dell’assassinio a sangue freddo di quel povero ragazzo, di quel giovane padre di famiglia, che aveva come unica “colpa” quella di essere il fratello di un terrorista pentito. Non è solo barbarie, non è solo disprezzo di una vita umana, è anche una malintesa di esigenza di mettersi al passo con tempi che cominciavano a richiedere la presenza di un obiettivo di fronte ad ogni possibile evento. Una cecità e una crudeltà che lasciano senza fiato e che al tempo stesso fanno riflettere.
Oggi secondo lei non c’è una sorta di bulimia dei mass media nel raccontarci episodi di cronaca, non ultimo la tragedia della Costa Concordia, che però sembra già essere finita del dimenticatoio in attesa di un nuovo fatto? Siamo forse assuefatti?
Siamo passati dalla società dello spettacolo a una società che si è fatta essa stessa spettacolo, e che così facendo ha perso non pochi dei suoi punti fermi, dei suoi valori. In questa deriva il ruolo della televisione, le sue responsabilità, non sono di poco conto. Un bravo sociologo, Vanni Codeluppi, ha usato l’espressione “vetrinizzazione sociale” per dire che attraverso la televisione, e ora anche Internet, oggi tutto è, o può essere, un fenomeno da “esporre in vetrina”. Assistiamo ad una vera e propria invasione del privato: niente è destinato a restare nell’ombra della riflessione e dell’ambito personale, tutto si può mettere in mostra. In modo non solo veloce, ma “istantaneo”, perché il consumo si basa sulla gratificazione immediata, sul fatto di poter godere dell’ultima novità. E in vetrina è lecito mettere praticamente tutto, con una spettacolarizzazione che ormai ha investito gli spazi urbani, i luoghi del lavoro e il tempo libero, gli affetti, il corpo, la salute, tutto. Per essere esposti in vetrina, per essere conosciuti e avere successo, non serve saper fare qualcosa, non sono necessari l’impegno, la fatica, la bravura o altre qualità. L’importante è “funzionare”. Nessun reato, certo, ma moralmente siamo dentro un vero e proprio abisso. Le vittime, chi soffre, diventano solo delle comparse. Il dolore degli altri può benissimo essere ignorato, calpestato. Anzi, può essere sfruttato, perché è una cosa che attira le persone che sono di fronte alla grande vetrina.
Come giudica il modo di comunicare oggi la politica tra telegiornali e cosiddetti programmi di approfondimento politico che spopolano su ogni rete televisiva, radio e web? Non le sembra che il distacco degli italiani dalla politica sia direttamente proporzionale all’aumento esponenziale di programmi che parlano di politica?
Non credo che ci sia un legame diretto tra l’aumento dei programmi che parlano di politica e il distacco di molti dalla politica stessa. E con questo non voglio dire che questi programmi siano tutti fatti bene o che invece non si potrebbe far di più per privilegiare contenuti e ragionamenti rispetto ad atteggiamenti di facciata o polemiche spicciole senza alcun costrutto.
Come da nostra abitudine, nel ringraziarla per l’intervista, le chiediamo in chiusura un saluto speciale per “Gli Amanti dei Libri”.
Scriveva Marguerite Yourcenar che “fondare biblioteche è come costruire granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi mio malgrado vedo venire”. Beh, se questo è vero, e se oggi rispetto a ieri pensiamo non solo ad una biblioteca ma ad un luogo on-line in cui poter “respirare” e amare i libri, allora non si può che salutare con affetto e ringraziare tutti voi che avete dato vita e animate ogni giorno “Gli Amanti dei libri”.