Vladimiro Polchi, giornalista, autore televisivo (Le Storie, Enigma, Pane quotidiano per Rai3) l’abbiamo incontrato a Torino in occasione della presentazione de “I Camaleonti“, il suo quarto libro e primo romanzo. Nato per essere un giallo sul Vaticano, scritto come un copione per la TV, il libro di Polchi è diventato soprattutto un romanzo cinico e crudele sui retroscena del mondo della televisione.
Lavora per la TV, perché ha deciso di raccontare un mondo che ben conosce e in maniera così negativa?
Ho parlato di TV innanzitutto perché sono un giornalista, questo è il mio primo romanzo. Mi è sembrato più facile prendere spunto da qualcosa di reale e di autobiografico. In realtà all’inizio volevo raccontare nella maniera più divulgativa possibile un delitto in Vaticano di cui si è raccontato poco e che ha tutti gli elementi del giallo classico, un caso che il Vaticano chiuse con eccessiva fretta lasciando adito a mille ipotesi alternative. Pensando a come raccontare questo giallo ho deciso poi di immergerlo all’interno di un contesto televisivo. Quello che accade spesso, anche facendo il mio lavoro, è che il contenitore si divora il contenuto: il romanzo è diventato anche, in gran parte, un libro sulla televisione e sul popolo sconosciuto che lo abita.
Qualche suo collega o personaggio della TV si è riconosciuto nei protagonisti del libro? Qualcuno si è sentito offeso o si è sentito invece lusingato?
Tutte le storie di questo romanzo sono vere, per raccontarle ho usato però dei nomi di fantasia, tutti i personaggi sono quindi in qualche modo reali. Sono dei Frankenstein: ho preso più aspetti negativi di un capostruttura per esempio e li assemblati in un unico personaggio. Incredibilmente chi si è riconosciuto nei protagonisti del mio libro si è sentito lusingato, anche nella negatività si giganteggia. La negatività è sempre meglio della mediocrità.
Il libro è scritto come un copione per la TV ma è di fatto un giallo. Perché l’ha ambientato proprio nel Vaticano?
La televisione e il Vaticano hanno delle caratteristiche comuni a mio parere, l’opacità rispetto all’esterno per esempio, anche l’importanza della comunicazione accomuna questi due mondi apparentemente così diversi. Ho pensato di unire le due mie passioni, quella per il Vaticano con quella per la televisione, ed è nato questo romanzo, che è un ibrido. Io stesso non so come definirlo, se un libro sulla televisione o sul Vaticano.
In TV tutto è calcolato in funzione dell’audience, a quali spettatori- lettori ha pensato di rivolgersi quando ha scritto questo libro?
Al lettore più debole che è poi il maschio giovane, quello che secondo le statistiche legge di meno ed è affascinato dalla TV dei reality e dei varietà. Ho voluto raccontare un giallo a chi non legge i giornali. Se questo libro finisse in mano a quelli che guardano i programmi della De Filippi sarebbe un mio successo personale.
Il suo romanzo avrebbe perciò un fine pedagogico?
Non vorrei che lo avesse, insegna però che bisogna avere una certa diffidenza nei confronti della televisione, che ancora ricopre un ruolo determinante nell’educazione di questo paese. Forse sì, assomiglia ad un saggio sulla televisione scritto però in chiave ironica.
Valerio Brusco è il protagonista del suo libro: è l’autore del programma La Giuria, una specie di Porta a Porta che promette un clamoroso scoop riguardo il triplice omicidio in Vaticano di cui racconta. Chi è in realtà questo personaggio?
Assomiglia a quegli autori TV che incontro spesso, li riconosci in Rai dal modo di vestirsi: si mettono la giacca ma poi sotto hanno una maglietta e un paio di sneakers; hanno l’aria da intellettuali ma sono dei creativi; girano con il copione in tasca come se fosse uno scettro; guardano dall’alto in basso il popolo dei figuranti che vorrebbero tanto arrivare a ricoprire il loro ruolo. Sono persone che si sovrastimano, pensano di essere Hemingway ma poi nella realtà si trovano a dover gestire le scalette e a decidere se far uscire prima la Venier o la Cuccarini. Ho voluto giocare con questo tipo di personaggi, già di per sé amorali, al punto di attribuire a Brusco una vita privata completamente legata al mondo mercenario della sessualità. Ho sempre guardato questo tipo di personaggi con un misto di orrore e di fascino: gestiscono un potere e in parte hanno una responsabilità su come è questo paese.
Prevede possano avere un qualche tipo di redenzione?
Brusco ci prova, tenta di uscire dal mondo del neorealismo dei reality per approdare al mondo dell’informazione e raccontare qualcosa che ritiene giusto ma ne esce sconfitto perché le regole della TV sono più forti di lui. La televisione non è fatta per la verità.