In editoria si dice spesso che il racconto come forma di scrittura funziona poco perché vende poco e perché i lettori sono più affezionati alle storie più corpose. Non è sempre così, anzi per Valeria Parrella non è affatto così. Fin dal suo esordio Mosca più balena l’autrice napoletana ci ha regalato storie brevi, intense e vere, con una penna e uno stile che l’hanno fatta arrivare immediatamente alle corde più sensibili dell’anima dei suoi lettori. L’abbiamo incontrata al Salone del Libro di Torino e abbiamo parlato con lei di racconto, scrittura, amore e della sua ultima raccolta di racconti Troppa importanza all’amore (Einaudi).
Come mai hai deciso di ritornare sul racconto breve?
Secondo me non sono racconti brevi. Credo che un racconto di 20 pagine non sia un racconto breve. Racconto breve è Racconto di Natale di Dino Buzzati, due pagine e mezzo. Ho deciso di tornare al racconto perché non me ne sono mai andata dal racconto, io scrivo sempre. Io scrivo tutti i giorni, in continuazione, e scrivo racconti. Poi ogni tanto mi fermo e scrivo una piece teatrale, un romanzo. Quando ho messo su un bel po’ di racconti mi è sembrato il momento di pubblicarli.
Nella nostra società odierna che vive un po’ tutto alla “Cotto e Mangiato”, il racconto è una forma di scrittura che potrebbe essere più adatta rispetto al romanzo?
Mi sembra un’ottima forma di lettura, anche per i ragazzi. Io sono una lettrice di racconti e a volte vado anche nelle scuole e ai ragazzi dico sempre di incominciare a leggere i racconti perché capisco che un romanzo possa spaventare. Io stessa sono spaventata dai romanzi grandi. Se so che arriva il nuovo Milan Kundera me lo leggo, ma se arriva l’esordiente di 400/500 pagine io forse non me lo metto davanti. Invece i racconti ci provo sempre: anche se c’è uno sconosciuto, il suo racconto me lo leggo lo stesso.
Quando Ammaniti ha scritto i suoi racconti, sottoponendoli al suo editore, diceva che non glieli pubblicavano perché “Il momento è delicato” (che poi è diventato il titolo di quella raccolta). E’ cambiato qualcosa nel panorama editoriale?
Non ho mai notato questa cosa. Io ho esordito con un libro di racconti che è andato benissimo. Il secondo libro pure ed è andato benissimo. Quando li ho voluti pubblicare con la grande casa editrice Einaudi, loro non hanno battuto ciglio quindi non è la mia esperienza.
Che cos’è l’amore davvero? Ne abbiamo bisogno?
Sì, certo. Non si può vivere senza amore. Io ne parlo molto in due dei racconti di questa raccolta. In Behave il protagonista è un marinaio di Liverpool che dice “tienimi alla giusta distanza da quelli che amo, oddio cazzo” e quindi dà tanta imporanza all’amore, anche se penso sia opportuno trovare la giusta distanza; nel racconto Troppa importanza all’amore, che dà titolo alla raccolta, invece c’è una ragazza che dà troppa importanza all’amore. Non bisogna escludere l’amore dalla propria vita ma dargli la giusta importanza.
Perché fa così paura l’amore?
A me no personalmente, io mi sono sempre innamorata. Mi butto io nell’amore, è bello l’amore. Non ho paura di soffrire per amore, ma per malattia e morte. Non per amore. Forse la paura è una cosa un po’ più giovanile, dopo non hai più paura di soffrire per amore.
Sei molto schietta nella tua scrittura. Non sentimentalismo ma sentimento. Se qualcuno deve provare un sentimento lo prova, senza dilungarsi o perdersi troppo. E’ così?
Nella scrittura dei racconti sì perché mi dà la possibilità di causticità che altrimenti non si trova. Dire in maniera diretta le cose significa cercare di condensarle il più possibile. Se ci metto 10 minuti a spiegarti una cosa magari con una bella descrizione forse ci sto girando intorno… Se uno ha le idee chiare è anche il modo rapido nel dirle.
Quindi è proprio la forma di scrittura che lo richiede…
Sì, è la forma di scrittura che lo facilita direi.
Ti sei curata del lettore o hai scritto solo qualcosa che ti sarebbe piaciuta leggere?
Io sono una lettrice di racconti, è sempre tutto riferito a me, mai agli altri. Sono un’egoista (ride).