A tu per tu con… Stefano Piedimonte

Si può descrivere la camorra con ironia, mettendone in rilievo gli aspetti grotteschi e  farne comunque un ritratto realistico e convincente? Stefano Piedimonte ci è riuscito: giovane giornalista e scrittore napoletano, ha pubblicato da Guanda nel 2012  “Nel nome dello zio”, un romanzo che ha avuto un ottimo riscontro dalla critica e dal pubblico e che parla di un boss della camorra con una strana mania… L’abbiamo incontrato al Festival NebbiaGialla di Suzzara (MN) ed ecco cosa ci ha raccontato.

Il protagonista del suo romanzo, lo Zio appunto, è un camorrista con una passione sviscerata per il Grande Fratello. Per costruirlo in modo efficace ha dovuto utilizzare dosi massicce di ironia. Quanto questa è una caratteristica che serve ai fini della narrazione di situazioni anche drammatiche come quelle che lei comunque descrive?

I personaggi che agiscono in queste situazioni si prestano a essere raccontati in maniera grottesca, anche perché sono ridicoli nelle loro passioni e nei loro comportamenti, pur nell’atrocità dei gesti e delle azioni. Se visti con una certa astrazione, dal narratore o dal giornalista osservatore, sono assolutamente comici. Quindi questo è il registro più adatto a raccontare questo genere di cose e a volte lo ritroviamo utilizzato con maestria ad esempio nei film di Quentin Tarantino. La prima persona in Italia che secondo me ha intuito il potere narrativo di questi personaggi, anche non raccontandoli in maniera umoristica, ma facendo in ogni caso venire fuori l’aspetto grottesco è stato Roberto Saviano con Gomorra. Perché tanti libri di questo tipo sono rimasti sugli scaffali delle librerie e Gomorra ha venduto milioni di copie? In fondo parlava di cose che erano uscite sui giornali. Gomorra è fantastico per questo motivo, perché Saviano è stato il primo a capire che questi sono personaggi letterari, che già da soli sono letteratura.

A questo proposito c’è una caratterizzazione fisica forte dei personaggi che lei descrive e tramite essa trasmette molti messaggi, sia sui camorristi stessi che sui poliziotti, per esempio il più importante di loro, un certo Woody Alien..

Per quanto riguarda i poliziotti, capita spesso di conoscerne di bravissimi che però si aggirano in una sorta di “zona grigia”, al limite tra la legalità e l’illegalità. Di solito i più bravi sono quelli dal passato un po’più oscuro. In sostanza a mio avviso è difficile incontrare le due cose messe insieme, cioè l’incorruttibilità totale e la grande bravura investigativa. Woody ha questi due aspetti dentro di sè ed era inevitabile in qualche modo che lui dovesse soffrire di qualche altra cosa, come se queste due cose caricate su di lui pesassero in maniera tale da comprometterlo. Così il suo punto debole è l’aspetto fisico. E’ rimasto coinvolto in uno scontro a fuoco che lo ha sfigurato, ma non è che prima di questo lui fosse un adone: era già bello che rovinato per i fatti suoi, la natura non è stata magnanima. Mi piace caratterizzare i personaggi da un punto di vista estetico, fisico e dell’immagine, perché molto spesso rispecchia poi quello che sono dentro, non tanto per la conformazione fisica ma per come si vestono, come si tagliano i capelli, come si acconciano. Nel romanzo ci sono diversi personaggi che hanno il lurido phisique du role del delinquente. Dal fisico si possono capire tante cose: sembra superficiale, ma Oscar Wilde diceva che “solo i superficiali non giudicano dalle apparenze”.

Qual è la  differenza tra raccontare la camorra da cronista rispetto a farlo da scrittore? 

Raccontarla come cronista vuol dire che devi tener fuori molte cose, perché non interessano al lettore: ognuno vede il giornalismo a modo suo, ma per me il giornalismo è quello di Michael Connelly in “Cronaca nera”, un libro che racchiude gli articoli scritti da Connelly per il Los Angeles Times. È un giornalismo freddo, asettico, senza commenti, pura cronaca anche se certamente più elaborato e costruito di un’agenzia di stampa. Automaticamente rimangono fuori tutta una serie di elementi, che sono quelli più buttati sul ridere o che ti possono far intristire. Tutti questi elementi messi insieme fanno un romanzo.

Mi ha colpito un tweet che lei ha pubblicato qualche  giorno fa: “La scrittura non è una cosa che può essere fatta dai mestieranti. Tutti questi epigoni pseudogrigio-erotici mi fanno una tristezza enorme”; quindi da chi deve essere fatta la scrittura?

Io ho questa idea un po’ naif di scrittura, in cui lo scrittore non è certo lo stereotipo del bohemien che si ubriaca, ma neanche il mestierante, cioè quello che riceve una telefonata da un editore che gli dice “guarda in questo periodo sta andando forte questo romanzo, scrivine uno uguale”. Poi per carità ogni prodotto che si vende ha una sua legittimità, un suo mercato e un suo pubblico di riferimento, quindi è giusto che esista.

Come si descrive come lettore?

Io sono molto lento nel leggere i libri. C’è gente (non parlo di quelli che lo fanno per lavoro) che legge un libro in due giorni, in maniera molto rapida; io invece lo leggo in maniera molto lenta: a volte torno indietro, rileggo una pagina intera, i passaggi che mi piacciono di più. Ecco, per leggere un libro impiego almeno una settimana. Leggo al massimo 2 o 3 libri al mese. Non faccio quelle cose tipo le orecchie,  i segni o sottolineo, perché se leggo leggo, non voglio interagire con la pagina, però la lentezza nella lettura secondo me è fondamentale.

Quali sono i progetti a cui sta lavorando? Se non sbaglio si è parlato di un libro che uscirà a settembre.

Sì, pubblicherò sempre con Guanda un libro che può essere visto come un sequel di Nel nome dello zio, ma è brutto usare questa parola, perché poi il pubblico può pensare “hai letto il primo, ora devi leggere il secondo”. In realtà ci sono 3 o 4 personaggi in comune fra i due libri e vi è la prosecuzione di una storia che inizia nel primo e continua con un’evoluzione anche abbastanza naturale nel secondo, ma sono anche due opere a sè stanti.

Di solito noi chiediamo agli scrittori un messaggio per Gli amanti dei libri,  ne vuole lanciare uno?

Io vi trovo dappertutto, e questa cosa mi piace tantissimo, cioè quando si parla di libri ci siete voi.  Non posso più pensare ai libri senza pensare anche a voi!

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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