La scorsa settimana ho avuto la fortuna di incontrare Silvia Longo, autrice de “Il tempo tagliato”, romanzo di cui abbiamo pubblicato ieri la recensione. Fin da subito mi è sembrata una persona molto dolce e cordiale, questo è confermato anche dalle sue attenzioni per il prossimo. La nostra autrice infatti lavora presso una cooperativa sociale che si occupa del recupero e del reinserimento di persone in situazioni di disagio e da ieri è anche in libreria con il suo primo romanzo.
Lei è una scrittrice al suo libro d’esordio, volevo chiederle di parlarci un po’ di lei, di come è stato pubblicare il suo primo libro..
E’ un’avventura particolare soprattutto perché non sono più una ragazzina, in genere quando si parla di esordio si immagina magari una persona più giovane; vero è che la letteratura non è come il cinema, la televisione o la musica dove adesso l’esordio avviene in maniera precoce, qui tutto sommato ti puoi permettere di esordire anche dopo i quaranta. Penso tuttavia che dopo i quaranta, come nel mio caso, sia qualcosa che avviene con una consapevolezza diversa, nel senso che io ho fortemente desiderato di pubblicare un libro, non per avere la mia faccia sulla copertina di un giornale o per diventare famosa ma perché in qualche modo arrivare sulla carta è una consacrazione, un riconoscimento di qualcosa che si è fatto negli anni. Io ho sempre cercato di curare la scrittura, mi piace proprio la parola curare perché tenevo ad affinare il più possibile lo strumento e a trovare la storia giusta da raccontare e il modo giusto per raccontarla. A questo punto mi sono sentita pronta, sinceramente non avevo mai contattato molte case editrici innanzitutto perché volevo essere sicura di offrire un prodotto che piacesse a me per prima, nel momento in cui mi sono sentita sicura mi sono esposta un pochino di più ed è arrivato il premio.
La struttura del suo libro segue uno schema molto preciso, articolato, particolare, per esempio nell’incipit dei capitoli o nei continui salti temporali, seguiva qualche motivo particolare quest’ideazione?
Si, diciamo che poiché il tempo è protagonista del libro, desideravo che ci fosse un ricorrere, un richiamo continuo all’idea del tempo, come all’inizio del capitolo l’idea di mettere questa connotazione metereologica, proprio perché la parola tempo in italiano ha tantissimi significati e uno degli ambiti in cui è usata è l’ambito meteorologico. Da qui l’idea di far cominciare i capitoli con una piccola connotazione meteo, diciamo un bollettino per riportare il lettore all’idea del tempo inteso in senso meteorologico.
Poi si parla spesso del tempo in senso musicale, in quanto spesso si fa cenno ai gusti musicali dei personaggi e poi soprattutto il tempo personale dei protagonisti, dedicare il proprio tempo agli altri magari sacrificando il proprio, in qualche modo entrare in sincronia con gli altri e con le loro esigenze. Il romanzo è strutturato tra la connotazione metereologica, il “qui e ora” e il flashback. So di essere un po’ schematica ma penso che se usi spesso il flashback questo aiuti, altrimenti rischi di far perdere al lettore un po’ il filo della storia, rischi di confondere. Ci sono dei libri belli ma un po’ nebulosi, in cui viene da chiedersi di cosa si stia parlando e dopo un po’ stancano, nel rispetto per il lettore quindi si cerca di dare delle direttive.
Un altro elemento che permea il romanzo è la musica, arriva ad essere protagonista, tutto si riconduce alla musica, qual è il significato di questa predominanza?
Io credo che per alcune persone la musica sia particolarmente importante, per me lo è. Pur non essendo una musicista mi rendo conto che spesso magari sento una canzone e parte immediatamente il deja vù , il ricordo che arriva e mi riporta magari all’infanzia o a un’altra fase della mia vita. Diciamo che la musica per chi la ascolta è un po’ la colonna sonora della vita. Forse non per tutti ha lo stesso valore, per me ne ha molto, specialmente in questo senso di aiuto alla memoria. Inoltre io ho un figlio che suona alcuni strumenti musicali quindi ho sempre per casa qualcuno che suona, c’è sempre musica che gira e mi rendo conto che se lui non mi facesse conoscere delle musiche nuove, magari dei nuovi autori, nuovi modi di intendere la musica, io perderei molto del mondo contemporaneo. Penso che ascoltare la musica contemporanea sia anche un modo per tenersi informati, per tenere il passo.
Parliamo invece dei personaggi. La protagonista, Viola, appare come una donna ambivalente, sembra a volte che lei percepisca questo modo della gente di vederla come una donna assolutamente comune eppure si legge tra le righe che Viola è una donna eccezionale, forte, molto altruista, mi parli di lei.
Si, io voglio molto bene a Viola, mi sono molto arrabbiata anche. Ad un certo punto quando scrivi il personaggio è come se esistesse, sappiamo che la parola ha il potere di evocare quindi ad un certo punto lei per me esisteva. Credo sia vero quello che dicono i narratori, che c’è un momento in cui i personaggi prendono il sopravvento, fanno quello che vogliono, credo sia vero perché nel momento in cui dai loro una personalità, gli attribuisci determinate caratteristiche poi loro cominciano a muoversi secondo queste regole e se tu non li fai muovere in questo schema stai andando fuori tema perché il personaggio acquisisce proprio una sua corposità. Viola è una donna della mia generazione, quindi io devo dire in qualche modo portata al senso del sacrificio, quando io ero ragazza tutte noi coetanee più o meno sapevamo cucinare, pulire, guardare i fratelli più piccoli, occuparci della gestione domestica e dovevamo inoltre studiare o lavorare quindi eravamo abbastanza responsabilizzate. Non voglio dire che i giovani di adesso non siano responsabilizzati, io credo che abbiano un altro genere di responsabilità. Viola ha un grosso senso di riconoscenza verso chiunque le faccia del bene, a partire dai suoi genitori che le permettono di studiare, al marito che la introduce in un mondo per lei inedito e anche verso la figlia, per il solo fatto di averla resa madre; lei vive tutto nel timore di doverselo sempre guadagnare continuamente, come se nulla venisse gratuitamente. Il grande altruismo di cui dicevi prima è proprio questo, pensare che gli altri siano più importanti di te, che quindi devi eventualmente sacrificare anche te stessa, il tuo tempo e i tuoi sogni in favore degli altri, della realizzazione dei loro progetti. In realtà questa apparente debolezza è una forza, perché sappiamo che è una forma di amore e l’amore è la forza più grande che c’è ma naturalmente va gestito, lei si ritroverà a rendersi conto di aver trascurato forse troppo se stessa e le richieste del proprio animo
Un altro personaggio che mi è sembrato molto complesso è Federico, forse perché viene visto sempre dagli occhi di Viola, che lo idealizzano come l’uomo che le ha aperto un mondo altrimenti sconosciuto, però mi sembra che questo ritratto che lei ne fa a volte si tradisca rivelando degli aspetti autoritari, dispotici.. lei come ha immaginato Federico?
Si, esattamente come mi dicevi, in realtà, senza voler svelare tutto della storia, c’è proprio questo svelamento graduale dei personaggi sia di Viola che di Federico. Lei stessa parlandone prende coscienza di alcuni aspetti del carattere di suo marito che potevano esserle stati diciamo d’intralcio. Tra questi proprio la tendenza ad essere autoritario, un po’ paterno anche con lei che è abituata a casa ad essere sempre obbediente, accomodante, disponibile per riconoscenza. Se ne accorge gradualmente che probabilmente si è persa qualcosa per strada, che ha perso un pò di vista se stessa.
Da questi personaggi a mio parere si può notare che, nonostante il romanzo si svolga in un tempo breve, può apparire quasi come un romanzo di formazione, c’è un messaggio dietro questo?
Si, mi piace che tu l’abbia definito “quasi un romanzo di formazione” perché effettivamente quello che succede a Viola è un po’ una cosa iniziatica, e infatti succede nel giorno magico per eccellenza, il 21 giugno, il solstizio d’estate. Effettivamente lei in qualche modo prende coscienza parlando di se, e quindi in questo senso è come uno svelamento a se stessa di se. Poi c’è anche il discorso della musica che è un ambiente iniziatico, se vogliamo per chi non è esattamente un addetto ai lavori è sempre un’esperienza in qualche modo iniziatica.
Infatti si nota quasi un aspetto rivelatore della parola, della musica.
Si, è così un pò per tutti i personaggi, Viola con il marito che le vuole insegnare Bach ad esempio e le lei è un po’ refrattaria, non perché non le piaccia ma perché ognuno ha i suoi gusti. Al tempo stesso c’è la figlia che fa il suo percorso, che scopre un po’ tutti i generi musicali, anche a volte entrando in conflitto con il padre. Poi c’è anche Mauro, non dimentichiamo che Mauro è comunque un musicista che in qualche modo si è affidato alla musica quando la sua vita personale stava andando alla deriva perché anche lui ha avuto dei problemi in famiglia; quindi in un certo senso è proprio un romanzo di formazione in cui il personaggio fatica a trovare la sua strada ma ad un certo punto la individua e la musica è un tramite, uno dei tanti aiuti, una guida quasi
A questo proposito volevo chiederle, questa differenza nel tipo di musica che Federico e Mauro presentano, quale significato ha?
Si, per semplificare molto il concetto, Federico rappresenta la classicità, la tradizione, il rigore soprattutto perché la musica classica sappiamo che è da partitura, la battuta è un contenitore e dentro ci deve stare quello, non puoi fare molto di diverso. Invece un musicista moderno, penso ad un jazzista, va improvvisando, e quello che fa Viola è improvvisare, fuggendo dalla festa usa forse più il jazz che non la musica classica. Quindi si, il fatto che ne siano portatori questi due uomini così diversi significa proprio questo, il passaggio da una forma di pensiero ad un’altra e anche la possibilità per Viola di trasgredire, di uscire dalle battute precise del pentagramma e improvvisare un pochino la musica della sua vita.
Lei prima stava parlando del suo lavoro, molto interessante, in una comunità di recupero ,questo può influenzare in qualche modo la sua scrittura? le è d’ispirazione?
Diciamo che lavorando a stretto contatto con le persone e vedendo molte storie che spesso sono storie dolorose sicuramente il mio lavoro è di stimolo, di aiuto. Non è che si va a raccontare la storia di una persona in particolare perché dovresti chiedere l’autorizzazione o quant’altro però effettivamente più storie senti raccontare, più persone incontri nella vita più ne esci arricchito e forse se scrivi hai più argomenti da trattare o riesci a mettere a fuoco meglio perché se lo vedi, se vedi i sentimenti negli altri, se riesci ad entrarci dentro poi riesci a raccontarlo.
Parliamo sempre di cosa influenza la sua scrittura, cosa legge, cosa ascolta mentre scrive?
Si, mentre scrivevo Il tempo tagliato ho ascoltato effettivamente molto Bach, ho ascoltato i Depeche mode, sono stata al loro concerto; diciamo che se parlo di un certo tipo di musica è perché la stavo ascoltando o comunque l’ho ascoltata per poterne parlare. Io spazio molto, non ho problemi, passo dalla classica alla moderna al jazz al cantautorato al pop anche, va bene tutto purché mi faccia star bene, mi dia qualche cosa. Per quanto riguarda le letture mentre scrivevo questo libro ho letto praticamente tutto Cormac Mccarthy, sono andata in america, in mezzo ai cavalli selvaggi, ai lupi e ai messicani e ho vissuto lì, dopodichè dal west sono passata al mare e ho iniziato a rileggere Moby dick quindi ora sono nella fase di letteratura che riguarda il mare, prima i cavalli selvaggi e adesso le balene, cambiamo scenario.
La ringrazio moltissimo, le vorrei chiedere se vuole lasciare un messaggio ai lettori del suo libro.
Si grazie, io li saluto tutti, uno ad uno, anche se non li conosco, e spero che chi di loro deciderà di comprare e di leggere il mio libro potrà trovarci qualcosa dentro, qualcosa che li faccia stare bene, che magari li aiuti a trovare il loro tempo, il loro ritmo.