Abbiamo intervistato lo scrittore Sandrone Dazieri in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo “Uccidi il padre”.
Nel prologo (pag 10-11) il ragazzino prigioniero del suo aguzzino percepisce una possibile via di fuga attraverso la “crepa aperta nella parete”. Attraverso questa fessura che apre uno squarcio verso il mondo esterno il bambino prigioniero vede il verde del prato, l’azzurro del cielo e “una nube che sembrava un maiale”, ma alla fine delle tre pagine iniziale vediamo naufragare questo sogno perche il suo carceriere cammina verso la sua preda con un coltello in mano. Queste pagine servono a mettere in evidenza come siano vani i tentativi umani di sfuggire al male?
Io penso in realtà che si possa sfuggire al male, ma affrontandolo, non chiudendo gli occhi, come farà a un certo punto della storia “quel” ragazzino divenuto adulto. La scena può essere letta in vari modi: i muri possono simboleggiare il tentativo di costringere la fantasia dei ragazzi operato dal mondo degli adulti, la violenza che irrompe nel quotidiano che può apparire tranquillo e poetico… In realtà, però, voleva solo essere il manifesto programmatico del romanzo. Qui si parla di lotta per la sopravvivenza, di Bene e Male, di orchi e bambini, e il “mio” Male non si nasconde nelle ombre della metropoli ma ovunque.
Quando ci viene presentata Colomba, la protagonista del romanzo, notiamo subito il contrasto fra la descrizione di un personaggio forte caratterialmente e fisicamente e le sue paure che hanno una connotazione immateriale e sfuggente. I suoi incubi descritti come “ombre che urlavano strisciando lungo le pareti” risalgono ad un evento drammatico chiamato misteriosamente “Il disastro”. Questo contrasto serve forse a rendere più umana la figura del detective troppo spessa descritta, nei serial televisivi, come un eroe risoluto e forte?
In generale non amo i personaggi vincenti e privi di ombre. Li trovo narrativamente poco interessanti, se non come contrasto ironico. I miei protagonisti devono avere la tempra per sopravvivere alle prove che pongo loro davanti, ma anche essere abbastanza contaminati e feriti per lasciarsi penetrare dal mondo. Solo questo genere di personaggi, infatti, può riuscire a vedere la verità oltre le apparenze, oltre il senso comune.
Il suo modo molto preciso nel descrivere anche i personaggi meno rilevanti con poche righe significative rendono subito al lettore l’idea della persona che ha di fronte. Questo suo modo di descrivere risente in quale modo del suo lavoro di sceneggiatore televisivo?
Più il contrario. La descrizione dei protagonisti in una sceneggiatura si fa soprattutto attraverso i dialoghi e le azioni, perché la messa in scena è opera del regista. Spesso quando scrivi non sai neppure chi interpreterà il personaggio. No, la scrittura televisiva mi ha aiutato soprattutto a tagliare i tempi morti. Ho sempre pensato che in un romanzo di genere tutto ciò che rallenta lo sviluppo della storia deve essere omesso, e questo l’ho perfezionato anche scrivendo per la televisione, dove le mie sceneggiature sono normalmente più secche e ritmate di quelle di molti miei colleghi.
La descrizione dell’antagonista come una figura presa dalle leggende popolari o dai mostri dei film “Mi pare impossibile che un mostro del genere possa esistere davvero. E’ come l’orco delle fiabe, come Freddy Krueger” (pag 266) pare voglia mostrarci come spesso la gente comune non voglia credere nell’esistenza reale di persone che rapiscono o molestano bambini.
Al contrario. I rapitori e i molestatori di bambini sono al novantanove per cento parenti degli stessi (fatto salvo le situazioni di turismo sessuale e ovviamente altre terribili eccezioni), ma giornali e senso comune continuano a dare la colpa alle minoranze etniche e ai mostri di passaggio.
Quindi io sto con chi pronuncia questa frase nel libro, perché è un invito a cercare una spiegazione che non sia quella più semplice.
I modi bruschi e violenti della polizia, con l’esplicito riferimento ai fatti del G8 di Genova esprimono una sua visione delle forze dell’ordine?
Io non ho un’unica visione delle forze dell’ordine. Ci sono i violenti e i corrotti, come gli eroi e quelli che non hanno mai alzato le mani in vita loro o estratto una pistola senza necessità. Ho amici poliziotti così come altri poliziotti in passato mi hanno menato in corteo. Detto questo, ero a Genova ed è stato un orribile massacro: le forze dell’ordine purtroppo sono anche questo.
Nel suo romanzo il rapporto fra una poliziotta concreta ed una personaggio strambo e con molte manie sembra avere qualche reminiscenza televisiva “Lavorare con uno scettico aiuta ad avere una mente aperta”. Nel creare questa coppia aveva in mente altre coppie conflittuali ben precise?
Bè, sono un grande consumatore di serie tv, quindi indubbiamente l’influenza c’è stata (anche se le serie che preferisco non hanno coppie), ma diciamo che tutti siamo stati influenzati dai capostipiti, che erano Sherlock Holmes e Watson, e poi Nero Wolfe e Archie Goodwin. Il concetto di coppia disfunzionale mi ha sempre attratto. Spesso la colloco nella stessa persona.
Il finale sembra volutamente molto aperto.Pensa che Dante, con i suoi tanti misteri famigliari ancora irrisolti, possa ancora ricercare altri aspetti del suo passato come il fantomatico fratello che lo contatta nell’ epilogo?
Sì. Sto infatti scrivendo il seguito, anche se non è certo che questo misterioso fratello salti fuori ancora. Vedremo.