Nato a Dublino nel 1958, Roddy Doyle è considerato il capofila della nuova narrativa irlandese. Ha ottenuto uno strepitoso successo internazionale con Paddy Clarke ah ah ah!, vincitore del prestigioso Booker Prize nel 1993. Presso Salani sono usciti Il trattamento Ridarelli, Rover salva il Natale e Le avventure nel frattempo.
Lei ha scritto romanzi, racconti e libri per ragazzi. Quale genere letterario trova più nelle sue corde? Per uno scrittore che differenze intercorrono nell’affrontare l’uno o gli altri generi?
Mi reputo molto fortunato a scrivere per mondi e generi così diversi, ma penso di poter dire che il mio genere preferito è senz’altro il romanzo per adulti. Questo tipo di scrittura mi prende un anno o due e mi sento bene perchè provo l’emozione di costruire storie e personaggi, che spesso non controllo pienamente; proprio l’altro giorno due di loro si sono parlati, senza che io lo pianificassi. Mi piace scrivere romanzi di ampio respiro, mi fa sentire vivo. Divido la giornata lavorativa in modo un po’ anticonvenzionale, passo spesso da un tipo di scrittura all’altra, un momento scrivo per adulti, due ore dopo sto progettando qualcosa sul romanzo per bambini, vivo molto d’impulso.
Ha scritto libri di successo, ha vinto prestigiosi premi e alcuni dei suoi scritti sono stati anche adattati al cinema. Quali sensazioni prova un autore nel vedere rappresentato ciò che scrive?
Tre dei miei romanzi sono stati sceneggiati e anch’io sono stato coinvolto nella stesura del progetto, mi è piaciuto molto. Ho scritto anche altre sceneggiature che non ho avuto però il piacere di vedere rappresentate per mancanza di fondi, chissà, magari un giorno… Tornando alla sua domanda sulle sensazioni, è straordinario, io però quando scrivo lo faccio sempre pensando ad un romanzo, non al film a cui esso può dar vita. D’altra parte si sa cosa accade quando i libri che abbiamo letto diventano film, no?! Quando mi chiedono “ma il tuo lavoro diventerà un film?” io faccio di tutto per non rispondere.
L’Irlanda è un elemento molto presente in ciò che scrive, cosa rappresenta per lei la sua terra? Che legame ha?
Io sono di Dublino e anche i miei personaggi lo sono, vivono e si muovono nella capitale irlandese, per me è un elemento di fondamentale importanza scegliere la città giusta. Tengo a sottolineare che i miei protagonisti non sono semplicemente irlandesi, sono appunto di Dublino, hanno quindi una particolarità ulteriore, vivono in una grande città di un piccolo paese, è strano vero? Dublino è una città in continua metamorfosi, la gente si parla molto, la mia città mi fa bene e penso che sia il luogo migliore per vivere.
Se dovesse individuare dei pregi e dei difetti degli irlandesi quali citerebbe?
Il difetto è che beviamo molto. Il pregio che beviamo molto. Un altro difetto è che non riusciamo a pianificare niente. Un altro pregio è che non riusciamo a pianificare niente. Non sono pazzo, voglio solo far capire che pregi e difetti sono facce di una stessa medaglia.
Nell’ultimo suo libro pubblicato in Italia i due protagonisti sono fratelli che la vita ha separato, dopo vent’anni si ritrovano davanti ad una birra in un pub irlandese. Quali sono il valore e la potenza di questo rito?
Il pub è un terreno neutro, è una zona franca, un locale pubblico, non ci sono donne, bambini, gli uomini si incontrano e dicono ciò che vogliono, scherzano, si prendono in giro (le cose tipiche da uomini…). Ho letto molto sulla cultura irlandese legata ai pub ed io sono assolutamente contrario. Vado di rado in questi locali, mi trovo bene ma non vado là per mangiare (perchè non è buono) e non mi piace la musica, vado solo per parlare e bere birra. Questo è il valore autentico dei pub: parlare.