Abbiamo avuto il piacere di incontrare Patrick Fogli, autore di un bellissimo thriller intitolato “La puntualità del destino”. Gli abbiamo rivolto qualche domanda per saperne di più sulla sua ultima fatica letteraria.
Questa volta hai scritto un thriller. Che cosa significa per te thriller? Da dove prende origine questa storia?
Non credo di aver scritto un thriller. O, meglio, ho scritto una storia che potrebbe sembrare un thriller o che del thriller ha il punto di partenza. In realtà parla di assenza, attesa, verità e menzogna. E del nostro essere pessimi cittadini e esseri umani. Che cos’è per il thriller? Il silenzio degli innocenti. Il racconto di persone, non personaggi. Di personalità. Una storia avvincente che indaga il Male e la normalità, il terrore e il quotidiano. E il loro continuo mescolarsi.
Nel tuo romanzo poni l’attenzione sul caso di cronaca e in particolare sul rapporto con i media, perché hai scelto questa strada? Cosa volevi trasmettere ai lettori?
Come ti dicevo prima, La puntualità del destino è anche un romanzo sulla differenza fra vero e falso, su quello che conta davvero nella vita al di là degli orpelli e del superfluo. Sulla radice delle cose e dei sentimenti. E, appunto, su quanto siamo cittadini pessimi e pessimi esseri umani. L’informazione del dolore è perfetta. Intesa come informazione che specula sul caso di cronaca, sulla tragedia privata, sulle piccole porcherie di ognuno di noi, ma anche come curiosità morbosa di chi la guarda, chi si ferma davanti alle telecamere in attesa fuori dalle case, di chi appoggia il pupazzetto, la foto, il cero. La finta empatia nei confronti della vittime che nasconde la necessitò di mettersi (a costo zero) al centro della tragedia e viverne un breve distillato. Volevo far vedere cosa succede DENTRO una famiglia che si trova oggetto di quell’attenzione e che, come se fosse un dettaglio, vive anche la peggior disgrazia che possa capitare a due genitori, una figli che scompare nel nulla.
Il pregiudizio verso l’immigrato è un altro elemento molto forte nel tuo libro, la nostra società è davvero “ancora” così?
È sempre stata così. E’ un sintomo della nostra superficialità e della necessitò di un nemico. Una volta era il meridionale, poi è diventato l’extracomunitario, ultimamente anche il rumeno. Oppure, cambiando tema, le banche, l’Europa, l’euro. Abbiamo smesso di ragionare nel merito delle cose molto tempo fa e, col tempo, siamo pure peggiorati.
Nelle tue pagine tu trascini il lettore in un vortice di emozioni intense e fortissime, come riesci a far trasparire cos’ efficacemente questa sensazioni con la tua scrittura?
La risposta è impossibile. In realtà non lo so. Cerco di calarmi in un punto di vista e vedere fin dove si può arrivare.
Il tuo protagonista torna ad essere Gabriele Riccardi, è cambiato in questi anni? Se sì, come?
Gabriele odia il mondo, lo ha sempre odiato. E non gli interessa che quell’odio, quel disprezzo, si veda. Potrebbe dirti che il 70% della popolazione mondiale è superflua, consuma solo risorse. Col tempo ha cominciato a coltivare la sensazione di vivere in una società di zombie, in cui sono rimasti pochi esseri umani vivi e guarda al prossimo come dietro un vetrino, studiandone le reazione e mostrando, quando + il caso, il dito a indicare che il re è nudo. È un cinico. E per questa storia serviva uno come lui.
“Il tempo non è un dettaglio e il passato non è una colpa” è vero?
Dipende. Nel caso in cui viene pronunciata quella frase, sì, è vero. La prima parte è sempre vera. Il tempo passa, ci si può illudere che non ci cambi, ma lo fa per forza, la vita non è indolore e nemmeno trasparente. Sul passato, dipende da quale. Alcuni sono molto più che una colpa.
Quale messaggio ti piacerebbe lasciare ai lettori del nostro sito?
Leggete, fate leggere. Siate curiosi. E non solo delle storie, anche di quello che succede intorno, del mondo. Anche se smettete di occuparvi del mondo, il mondo non smetterà mai di occuparsi di voi. Non è un messaggio, però. solo un consiglio.