“Capisco che è l’inizio di qualcosa, di una nuova storia da raccontare”
Scrive così Paola Calvetti, in una delle prime pagine del suo ultimo romanzo intitolato “Gli Innocenti” (Mondadori). Ed è proprio così che mi sono sentita, quando l’ho incontrata insieme a blogger e librai nella sua meravigliosa casa milanese.
Una donna “tosta”, dalla grande esperienza e radicata cultura, che trasmette tanta passione e sì, anche tenerezza. Perché nelle sue parole, quando racconta, si percepisce un tono di positività e bontà tanto profondo, che non può non far pensare all’amore, quello genuino.
L’amore: un tema che torna sempre nei suoi romanzi, come in questo caso.
Qualche anno fa, nel 2013, durante un’intervista ha dichiarato che “l’amore oggi è solidarietà. Darsi la mano”. Quattro anni dopo, in un mondo tanto veloce e dinamico, che ha vissuto un periodo di profonda crisi economica e valoriale, definirebbe l’amore in un modo diverso?
Io credo che uno dei sentimenti dominanti di questa epoca, che siamo usciti o no dalla crisi economica, sia la paura. E la risposta alla paura resta la solidarietà, nel senso più esteso del termine: “stiamo insieme”, in una società che tende all’ “io”. Mi piace pensare anche ai ragazzi giovani: è bello vedere interesse, innamoramento, attrazione fisica e intellettiva; ma in tutto questo la parola solidarietà è fondamentale in una coppia. C’è sempre l’uno o l’altro che ha più bisogno, in un momento o in un altro.
Ne “Gli Innocenti” i protagonisti, Jacopo e Dasha, sono musicisti: anche la musica è un tema molto ricorrente nella sua letteratura, ma non solo, anche nella sua storia di vita. – L’autrice è stata per anni responsabile comunicazione del Teatro alla Scala di Milano, e dell’Opera di Firenze.
In effetti mi sono sentita dire che in questo romanzo è condensata tutta la Tematica Calvetti, perché ho unito casa di riposo-musica. In realtà rispetto alla prima mi sono ispirata ad un documentario chiamato Alive Inside, in cui il neurologo cura i suoi pazienti tramite la creazione di colonne sonore studiate ad hoc. Rispetto alla seconda: mi è servita come stratagemma per parlare di queste realtà. Volevo però anche dare alla musica lo spazio che si merita, descrivendo il grandioso potere di cui dispone.
Come è far coincidere le tre personalità, nonché tre forme di scrittura, protagoniste del mondo della comunicazione: ufficio stampa, giornalista, autrice di romanzi?
L’ufficio stampa, la comunicazione, per me è sempre stata un lavoro. Scrivere un comunicato stampa comporta l’uso di una tecnica di scrittura precisa: devi solo scrivere fatti, notizie, mai opinioni. La narrativa invece è sempre stata un’extra. Io ho sempre lavorato, questo è il primo romanzo che scrivo senza avere un lavoro, senza andare in ufficio. In me sono proprio due mondi diversi. Il giornalismo è una via di mezzo: ho sempre fatto interviste o pezzi di cronaca. Quando scrivevo per Repubblica prima, Il Corriere poi, ci ho sempre messo un po’ di letterario, anche se in me vive l’animo della cronista. Questo si riflette nei miei romanzi solo per una cosa: la ricerca delle fonti, io non pubblicherò mai qualcosa di non verificato. Ne Gli Innocenti è vero che il 9 dicembre del 1950 pioveva forte: sono andata all’archivio de La Nazione e ho trovato gli articoli a proposito.
La scrittura di un libro è un po’ il posto del cuore.
L’autrice definisce questo libro come una sfida letteraria, perché è il suo primo titolo in cui non vi è protagonista una donna, bensì un uomo. Ci dice che è una lettura che consiglia anche agli uomini, perché toccante. E perché coloro che l’hanno letto sono stati fortemente colpiti emotivamente.