Abbiamo incontrato, al Circolo dei lettori di Torino, Melania Mazzucco durante la primissima presentazione nazionale del suo ultimo romanzo: Sei come sei (Einaudi).
L’autrice ha deciso di raccontare alcuni dei temi che maggiormente oggi scaldano l’opinione pubblica: la famiglia moderna, l’adozione e l’affidamento di minori alle coppie gay, l’assenza delle figure di riferimento nell’infanzia e nell’adolescenza, l’accettazione dell’altro. Coordinate letterarie che descrivono, con estrema delicatezza e con un impianto narrativo solido ed emozionante, la società attuale nelle sue mancanze e nei suoi desideri più difficili da realizzare: la “mitica” lotta tra la legge della città e quella dei suoi individui.
Innanzitutto partiamo dal titolo che per me è fondamentale. “Sei come sei” è realmente il messaggio del libro?
Premetto che non mi piacciono i messaggi e il fatto che il libro possa portare un messaggio come stendardo. Però mi piacerebbe che Sei come sei portasse un sentimento, un’emozione. Si esce dal libro pensando che le cose in cui hai creduto fino a quel momento possono non essere più tali. In questa narrazione una cosa fondamentale, che si mantiene sullo sfondo, è il fatto che se non si accetta l’altro così com’è, e non ci si accetta per come si è, si conosceranno solo infelicità e disamore. Sei come sei significa accettare l’altro, renderlo più forte e quindi anche più felice.
Sono passati dieci anni da “Vita”, romanzo che ha vinto il Premio Strega. Anche lì si parlava di un viaggio, certamente diverso e in un‘epoca lontana, e dell’assenza dell’elemento della genitorialità. Le chiedo quanto è importante questo tema per lei e quanto è presente nei suoi scritti.
Mi affascina moltissimo il tema della famiglia, nel senso preponderante di “essere figli” perché è un’esperienza che nella vita tutti hanno fatto e faranno per forza. A volte si può non essere genitori, a seconda di una scelta o di un destino, ma è impossibile non essere figli. È un tema fondamentale per la nostra crescita. ciò che noi scegliamo di essere e di diventare. In Vita è vero che c’era un tema poco discusso, i figli dei migranti italiani all’inizio del ‘900, ma pensiamo anche a quelli che adesso patiscono la stessa lacerazione: quella di non avere più una patria d’origine, di aver cambiato casa e lingua, di aver perduto i genitori. Si parte giovani, a volte minorenni come nel caso di Diamante, e non si hanno più contatti con le figure di riferimento. Si telefona, un tempo si scriveva, ma sempre più di rado. La ferita che si forma è difficile da curare. Mio nonno, ad esempio, tornò a casa dopo dieci anni trascorsi in America: non era più lo stesso “figlio” nonostante l’amore profondissimo che mantenne per la madre e per il padre, legati però ad un mondo che lui aveva ormai superato. Aveva una nuova morale e un nuovo modo di vedere la vita; i suoi genitori non avevano più la possibilità di seguirlo su quella strada. Ormai era una persona divisa. Questo è un tema che rimane in parte segreto anche in questo romanzo ma che per me è fondamentale. Nei libri precedenti poi ho investigato altri modi di “essere figli” e, conseguentemente, di “essere genitori”, in tutte le forme possibili.
Passiamo al tema del mito. Credo che l’attualità possa essere compresa solo se si ha la forza di conoscere e giudicare ciò che sta alle nostre spalle. Oggi siamo meno tolleranti perché abbiamo smesso di guardare alla nostra Storia?
È sempre una ricchezza guardare al passato attraverso una prospettiva mitologica e allargare comunque il proprio campo visivo. Non si resta così attaccati ad una realtà materiale e meschina. Si ha cioè la possibilità di comprendere la realtà quotidiana di cui oggi s’ignora la risonanza fortissima. Per esempio ci si stupisce tanto delle nascite attraverso fecondazione assistita, eterologa o di altro tipo, ma questa è una realtà della mitologia mondiale, di sempre e di tutti i popoli. Il problema è che va a toccare delle corde delicate e naturali che, se viste con questi occhi più panoramici, renderebbe il presente più ricco e meno complicato.
Un tema importante di “Sei come sei” risiede nel fatto che Eva, la protagonista, possiede due papà. Un’altra polemica scottante di questi mesi è il modo con cui chiamare queste figure di genitori non “classiche” per l’immaginario comune e cattolico. Cosa pensa della soluzione “genitore 1-genitore 2”?
Se fossi una bambina con due padri vorrei che entrambi fossero riconosciuti come miei genitori. Il modo con cui vengono chiamati non so se sia così importante quanto il modo con cui li chiamerei io. C’è un fatto, raccontato dai giornali per cui spero sia vero, accaduto in Italia in queste ultime settimane che mi ha colpito molto: una famiglia americana, formata da due papà e una bambina, va in un museo e non riesce a ottenere lo sconto famiglia perché viene detto loro che non rientrano nei parametri giusti. Ecco, questa è una cosa che ferisce profondamente un bambino: non trovare riconosciute da tutti le figure genitoriali che lui identifica come tali. Poi certamente dipende tanto dalla burocrazia che è spietata nei censimenti, nel riconoscimento delle coppie di fatto, etc.. Ricordo le parole di Paola Mastrocola durante la presentazione: “c’è un’eco mitica in tutto questo, la legge della città è diversa da quella delle persone”. Giose ed Eva, come racconta il romanzo, devono capire come vivere in questa città pur non riconoscendone alcune leggi.