Eccomi nella sede dell’editore Bietti, nel cuore di Milano, per incontrare l’autore di “Mico è tornato coi baffi”. Il sicilianissimo Massimiliano Scuriatti con una travolgente (e intelligente) parlantina mi assorbe in una realtà che pare lontanissima dal capoluogo lombardo: un mondo unico, fatto di racconti di terre incontaminate affacciate sul mare, a due passi dalle caotiche città dell’isola, dove la vita notturna degli studenti confina con spiagge lasciate intatte dall’uomo, immerse in un silenzio che sembra aver fermato il tempo. Prendo in mano il romanzo dalla copertina sui toni dell’ambra.
Sulla copertina del suo romanzo appare il viso di un giovane, Mico, in una foto consumata dal tempo. Chi è Mico e che ruolo ha in questo racconto?
Mico è un ragazzo povero, uno dei tanti che io definisco “invisibili”. Chiamato al fronte nel 1915 lascia al paese l’amico di sempre che non parte perché disabile. I due amici tengono una corrispondenza sempre più nostalgica e quando Mico torna dal fronte profondamente cambiato per gli orrori della guerra torna nella miseria e nell’invisibilità originaria. “La guerra se non uccide il corpo, uccide l’anima” si dice.
Scrivendo questo romanzo ha utilizzato immagini e aneddoti tratti dalla sua memoria storica, costruita magari con i racconti dei suoi avi o con le immagini dei libri?
Probabilmente le ho utilizzate in modo inconsapevole e me ne sono reso conto solo dopo stesura del romanzo. Il minimo comune divisore di tutti i racconti di guerra che ho ascoltato è il profondo cambiamento che la guerra lascia nell’animo delle persone che la vivono direttamente o ne subiscono la distruzione. Il cambiamento di Mico è un dato fondamentale su cui verte tutta la mia storia e avrà delle conseguenze nella vita degli altri personaggi.
Nel suo romanzo si parla di guerra, sentiva la responsabilità sociale di portare un messaggio al suo pubblico?
Il libro non è nato per questo motivo, sarebbe presuntuoso oltre che inesatto. L’urgenza di dire qualcosa, di comunicare, è insita nella mente di un autore ma non ha lo scopo di indottrinare o convincere il pubblico. Potrei anche raccontare un personaggio che io non condivido in alcun modo, l’importante è che il racconto sia significativo per l’autore, se poi il messaggio è condiviso o meno dai lettori è un altro discorso. La mia unica intenzione era quella di comporre una bella storia da leggere e tenere con se.
Perché ha scelto il punto di vista di un ragazzo storpio per raccontare la sua storia?
In siciliano disabile si direbbe sciancato. Il giovane dovrebbe sentirsi fortunato di non essere abile alle armi, invece si sente in colpa di non fornire il suo contributo e crede che tutti lo reputino un essere inutile. Non riesce a trovare un senso alla sua vita non essendo buono neanche per andare a morire, se volesse andare a difendere il suo amico al fronte non potrebbe. Sotto un altro punto di vista questo storpio disperato rappresenta l’immobilismo che è spesso attribuito alla Sicilia: egli non è affatto immobile dentro di se, come non è immobile la Sicilia. Quando Mico torna dal fronte non è più la stessa persona ne lo stesso amico nei confronti dello sciancato, il quale ha finalmente una spinta per fare da sé senza più aspettarsi un aiuto amorevole dell’amico in ogni piccolo gesto quotidiano. L’indipendenza forzata in cui si ritrova lo porta a trovarsi un ruolo indipendente dando così un senso alla sua esistenza.
Massimiliano, lei è autore televisivo, story editor, sceneggiatore per programmi comici, ora invece ha lavorato ad una storia toccante e profonda. Come è avvenuto questo passaggio?
Quando ho iniziato a scrivere per la televisione e per programmi comici ho interrotto un percorso come autore di teatro e grazie alla televisione ho scoperto la mia vena comica, non a caso mi sono laureato sul teatro di Totò. Sono del parere che ogni storia può far ridere e piangere al contempo a seconda del punto di vista e di come viene raccontata.