Al Festivaletteratura di Mantova quest’anno uno degli autori più gettonati è stato Marco Malvaldi, autore della fortunata serie legata al Bar Lume approdata anche sul piccolo schermo, simpaticissimo come i suoi libri: lo abbiamo incontrato per voi dopo il primo dei suoi eventi mantovani, una divertente disquisizione sull’architetto Giorgio Marchetti, firma storica del Vernacoliere, più noto con lo pseudonimo di Ettore Borzacchini.
Massimo e i vecchietti del BarLume, protagonisti di molti suoi romanzi e racconti, hanno improvvisamente lasciato il posto a un libro sullo sport, “Le regole del gioco. Storie di sport e altre scienze inesatte”: come mai questa decisa virata?
Io sono un appassionato di sport, e a volte guardo le manifestazioni sportive mi chiedo perchè alcune persone fanno determinate cose: per esempio mi sono sempre chiesto come mai i saltatori in alto saltavano di schiena, e l’ho scoperto a trentaquattro anni, e mi si è aperto un mondo. Così da sportivo scarso ho tentato di capire come funzionano determinati meccanismi, per citarne uno la “maledetta di Pirlo” che sfrutta degli effetti aerodinamici per niente banali, e sono convinto che attraverso lo sport si potrebbero capire benissimo tanti principi della fisica e della matematica che utilizziamo in modo inconsapevole nella vita di tutti i giorni. Per esempio se vi chiedo “conoscete la conservazione del movimento angolare?” voi probabilmente mi risponderete di no, ma se vi chiedo “sapete andare in bicicletta?” tutti mi direte di sì: senza saperlo la utilizzate tutti i giorni sulle due ruote.
Con questo libro ha totalmente cambiato genere rispetto al passato. Ci sono autori a cui ci si affeziona talmente tanto che anche se cambiano genere li si legge “sulla fiducia”, i suoi lettori come hanno reagito?
Qualcuno si perde sempre per strada, è del tutto normale: io personalmente sono uno di quelli che di alcuni autori a cui sono molto legato comprerei anche la lista della spesa.
Massimo, il barrista del Bar Lume, è un ex matematico che ha cambiato vita, e Marco Malvaldi è un ex chimico che è diventato scrittore. Massimo è un po’ l’alter ego di Marco?
In realtà Massimo è nato come una speranza: quella di non fare più il chimico, o meglio di non restare nella mia università. Mi piaceva e mi piace tutt’ora fare esperiementi e ricerche, ma in quel periodo, durante il quale ho inventato il personaggio di Massimo, era tutto allucinante, e vivendo in un posto buio e puzzolente inventai un bar al sole in riva al mare. Massimo è una specie di proiezione, ma tante cose che fa lui le farei io se avessi il cervello più pronto.
Nei suoi romanzi il linguaggio, e in particolare la cadenza toscana, ricopre un ruolo molto importante: alcuni passaggi, specialmente i dialoghi dei vecchietti del Bar Lume, in italiano o in un altro dialetto non avrebbero la stessa potenza espressiva. In generale però la sua scrittura è sempre molto ironica: quanto si diverte a scrivere?
Mi diverto moltissimo, a volte mi metto a ridere da solo quando mi vengono in mente certe cose che poi scrivo: tento prima di tutto di divertire me stesso, se questo mi riesce penso che si divertiranno di conseguenza anche i lettori. La cosa buffa è che quando ti escono cose divertenti non è una costruzione razionale, ti vengono in mente da sole, e quindi ci ridi tu per primo. La risata è una cosa di pancia, non si può costruire: e la cosa interessante a mio parere è che non si può imparare, uno o ce l’ha o non ce l’ha. Conosco dei bagnini e dei baristi che sarebbero dei comici eccezionali.
Tra l’altro “La briscola in cinque” è diventato anche un audiolibro, e la cosa che colpisce è che ovviamente i dialoghi letti ad alta voce hanno un effetto comico garantito, ma anche sulla carta stampata funzionano benissimo.
Qui c’è un trucchetto: i miei libri li leggo o li faccio leggere sempre ad alta voce, perchè in questo modo tutte le magagne vengono fuori. Alcune pagine scritte prima di essere lette ad alta voce le lancerei dalla finestra una volta sentite, ogni minima cosa che non va ti da proprio noia.
Alcuni dei suoi romanzi sono stati tradotti anche all’estero: ha avuto modo di leggerne alcune versioni? Come fanno a funzionare nonostante un linguaggio appunto molto vernacolare e tipico dei dialetti italiani? Ci sono paesi in cui funzionano meglio che in altri?
L’unica traduzione che funziona è quella inglese perchè il traduttore è stato mostruosamente bravo: non ha tradotto i miei libri, ma ha giocato al mio stesso gioco, riscrivendo a volte alcune parti come le avrebbe scritte ad esempio Wodehouse, ha fatto un lavoro eccezionale. Conosco piuttosto bene il tedesco e devo dire che in questa lingua non mi sono piaciuti, posso capire che tradurre “il budello di tu’ ma’” sia piuttosto arduo, ma loro secondo me non ci hanno nemmeno provato. Mi dicono, ma qui devo andare sulla fiducia, che la traduzione danese è venuta molto bene.
E vedere i propri personaggi approdare in televisione che effetto fa?
C’è stata una cosa che mi ha dato davvero una grande soddisfazione, ovvero vedere Carlo Monni che era un mio mito interpretare Ampelio: purtroppo stava già male durante le riprese, e non emerge per intero tutta la sua potenza comica. In più quando ho descritto Pilade Del Tacca avevo in mente l’attore pisano di avanspettacolo Atos Davini, che è poi stato scelto per questo ruolo in televisione e io non l’avevo detto a nessuno. Invece quando mi hanno detto che Massimo sarebbe stato interpretato da Filippo Timi ero un po’ dubbioso, non per Timi in sé che è bravissmo, ma perchè nella mia testa Massimo era brutto: invece un giorno io e mia moglie siamo andati a vedere le riprese, Filippo ci è passato davanti e mia moglie è rimasta a bocca aperta!