A tu per tu con…Luca Mercalli

“Che tempo che fa” è la trasmissione che lo ha reso noto al grande pubblico, ma Luca Mercalli, torinese, da anni è uno studioso del clima e adotta uno stile di vita a basso impatto ambientale. Presiede la Società metereologica italiana, dirige la rivista Nimbus e cura per “La stampa” una rubrica sul clima. Dagli schermi di Rai Tre cerca di sensibilizzare i cittadini riguardo alle problematiche dell’ambiente, diffondendo un modello di pensiero in cui la decrescita economica non solo risulta inevitabile, ma è anche persino utile, perché  forse può renderci più felici, a patto di cambiare al più presto possibile la nostra mentalità. Le sue tesi e i suoi consigli pratici sono contenuti in un libro, edito da Chiarelettere e intitolato Prepariamoci.

 “Prepariamoci”  è un libro che fa molto riflettere: dalla pubblicazione della prima edizione secondo lei è cambiato qualcosa?

Sì, è sicuramente cambiato qualcosa, perché credo che in Italia si sia creata una fascia di persone che reagisce positivamente allo stimolo di conservare la consapevolezza e tradurla in impegno pratico: per esempio io ricevo, da quando ho pubblicato il  libro, decine di mail in cui la gente mi chiede in sostanza come si installano i pannelli solari. Tutto ciò  è davvero positivo, anzi è la più grande soddisfazione che ci possa essere per uno scrittore: avere il riscontro del lettore, che vuole immedesimarsi con quanto ha letto e metterlo in pratica. Dall’altro lato, purtroppo, quello che devo invece registrare è che si tratta di una percentuale molto modesta della popolazione italiana, che  non riesce a incidere nei meccanismi politici. Questo mi fa dire che c’è ancora bisogno di tantissima comunicazione, perché solo così questi problemi possono via via diventare patrimonio di un maggior numero di persone. Ma non si può pensare di lasciare tutta la responsabilità agli individui: c’è la politica che deve comprendere, incoraggiare e facilitare queste scelte ed è quello che manca in Italia.

Lei pone l’attenzione su molti argomenti che noi sottovalutiamo: siamo un Paese di abitanti inconsapevoli?

Sì, direi che ad eccezione di questa piccola fascia di persone, che forse da sempre è stata interessata di più a capire come va il mondo, siamo un Paese veramente inconsapevole: camminiamo sull’orlo del baratro facendo festa.

La crescita non può andare avanti all’infinito, come mai gli economisti ne sembrano convinti?

Questo è un dilemma, direi, mondiale: ogni giorno, dal punto di vista scientifico, ci sono nuovi dati che confermano l’ impossibilità di una crescita infinita. Lo si sa da decenni e ormai questo tipo di consapevolezza è culturalmente e scientificamente istituzionalizzata, quindi non è che vengo a dirlo io! Ciononostante, siamo ancora nelle mani di quel modello di economia; l’obiettivo del libro, con tutta la bibliografia a corredo e di tutta la divulgazione di questi messaggi è proprio quella di cambiare mentalità. Però è difficilissimo e temo che forse ci sveglieremo quando sarà un po’ troppo tardi, quando cominceremo a veder già i segni negativi, dicendo: peccato, abbiamo perso del tempo.

Lei esordisce con una lettera al sindaco: c’è qualcosa che non scrive che vorrebbe dire a un sindaco di oggi?

Quello che ho scritto lo ritengo ancora validissimo, nel senso che è un appello profondo ad accorgersi che il mondo di oggi è diverso dal mondo di ieri. In sostanza questa lettera al sindaco lo esorta ad essere il primo anello di una catena virtuosa per la soluzione dei problemi. Certamente non l’unico, perché è ovvio che in una società globalizzata abbiamo bisogno di tutti i livelli politici. Il sindaco può iniziare ad agire sulle cose più concrete, tenendo conto che se gli errori di ieri erano locali e le generazioni successive potevano eventualmente anche correggerli, oggi sono globali e irreversibili.

Nel proprio piccolo le persone comuni come potrebbero fare per prepararsi?

Innanzitutto è necessario cercare di combattere gli sprechi: sono oggi qualcosa di intollerabile, eppure rappresentano una parte importantissima della nostra vita, a cominciare dagli oggetti presenti nelle nostre case e dai rifiuti che produciamo. La società, attraverso la pubblicità, ci impone dei comportamenti che non hanno più senso. E quindi direi che dobbiamo avere  questa bussola davanti a noi,  la “caccia allo spreco”, come primo livello. Poi ciascuno nel proprio contesto può mettere in atto pratiche che via via diventano l’applicazione di questo principio. Il libro non vuole avere un atteggiamento radicale: tutti viviamo e operiamo in contesti in cui non si può fare tutto, ma ognuno sicuramente può fare la propria parte.

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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