A tu per tu con…Letizia Muratori

Letizia Muratori, giornalista esperta di cinema, è sicuramente una delle voci più originali della letteratura italiana contemporanea. Inclusa nel 2008 dai Wu Ming nella lista degli scrittori appartenenti alla New Italian Epic, la sua scrittura si caratterizza per un’attenzione al quotidiano e all’attualità raccontato attraverso storie solo apparentemente “piccole“.

Che cosa significa per lei essere stata inclusa nei rappresentanti della NIE?

Io credo che NIE sia una mappatura di scrittori molto diversi tra loro, che non necessariamente scrivono delle stesse cose, ma da un punto di vista generale hanno una cosa in comune: raccontare la contemporaneità in un modo non diretto, non solo attraverso il romanzo storico e sociale, ma anche utilizzando questioni apparentemente marginali (come nel mio caso). La prospettiva è epica non perché contiene grandi imprese o battaglie, ma perché si basa su una fiducia nella narrazione. Un autore non è tutta la vita New Epic, ma i Wu Ming mi inserirono in questa ricerca perché in quel periodo era uscito con Einaudi Stile Libero “La vita comune”, il mio secondo romanzo, che apparentemente era un romanzo famigliare ma in realtà poneva un’attenzione particolare alla storia recente, partendo dalla storia di esuli dall’Eritrea e arrivando all’Italia degli anni 70 e alla Germania contemporanea: più scenari attraverso la storia di queste persone che si erano incontrate e avevano attraversato momenti di vita in comune.

Il suo approfondimento dell’attualità è proseguito con “Il giorno dell’indipendenza”, un racconto lungo sulla crisi economica mondiale e “Il sole senza nessuno” sul mondo della moda (entrambi editi da Adelphi, con cui pubblica anche attualmente, n.d.r.)

Ho cercato di affrontare questi argomenti da angolature nuove. Ad esempio potevo scegliere di narrare la vicenda di un uomo giovane che lavorava nell’alta finanza nel momento in cui esplodeva tutto, invece ho raccontato il suo ritiro in tutt’altro contesto, in una fattoria dove si allevano i maiali.  In “Sole senza nessuno” invece, mi interessava approfondire l’idea di trasmissione del lavoro femminile. Si inizia con una cosiddetta “caterinetta”, la sarta che andava a lavorare nei laboratori, poi si passa alla figlia che, per ragioni anche legate alla sua generazione, ha vissuto una rottura nei confronti della madre e un po’ per caso e un po’ per distanziarsi da questo duro apprendistato fa l’indossatrice. A sua volta poi la figlia di lei è una fotografa. Il mondo patinato della moda, quindi, attraverso la storia di queste tre donne appare connesso a quello del lavoro con tutto ciò che esso comporta.

Veniamo ora al suo ultimo libro, che definirei un racconto multiforme sulle relazioni nell’epoca contemporanea. In particolare vi ho trovato l’approfondimento di una certo atteggiamento maschile di superficialità nei rapporti.

Con “Animali domestici” racconto una storia vera, che mi riguarda. Sia Edi che Luca, i due personaggi maschili, nascondono qualcosa: sono due tossicodipendenti. La relazione con gli altri è di estrema disponibilità che maschera un vuoto. Edi, inoltre, è un collezionista. Mi interessava l’elemento collezionistico, l’accumulo, il consumismo. Il nostro rapporto con l’alterità è spesso così, tutti ne facciamo esperienza, anche con l’animale domestico. Chiara, la protagonista, vuole bene agli animali, ma vive il bisogno del possesso. Nel momento in cui perde tutto i gatti passeggiano nella sua casa indisturbati: a quel punto non sono più domestici e controllabili, sono degli stronzi che se ne fregano e le rimangono solo loro.

Nel libro ci sono anche scene dedicate all’adolescenza negli anni ’80. Secondo lei cosa è rimasto di quel periodo?  

E’ rimasto qualcosa dal punto di vista estetico. E’ importante a una certa età rimanere esposti a certi segni. E’ stato l’ultimo momento in cui c’è stata musica originale. Non avevamo voglia di musica del passato: c’era dapprima il post punk e il recupero dell’avanguardia, poi la new wave con quella specie di dolcezza pastello o colori fluo, dal dark al colore, rappresentata magnificamente dall’estetica di Tim Burton. In Big Fish c’è il rovescio della dimensione gotica, quel clima preppy che specie sulle ragazze ha molto influito. Si continua a dare di quel periodo una lettura sociologica legata al disimpegno e all’edonismo, ma non è solo quello.

Un altro ambito di indagine attraverso i suoi romanzi è il mondo della lettura e della scrittura. Perché ha sentito il bisogno di narrare della narrazione?

In “Come se niente fosse” ciò che mi interessava mettere in evidenza era il rapporto nuovo tra scrittore e lettore che si è creato negli ultimi anni. L’argomento mi appassiona sia perché sono da sempre una lettrice, sia perché credo ci sia una mutazione in corso con i suoi rischi. Spesso uno scrittore non ha voglia di incontrare un lettore, così come il lettore se da un lato può essere incuriosito, dall’altra può rimanere deluso o non avere voglia di approfondire in una presentazione il backstage del libro. E’ un circuito al quale è difficile sottrarsi perché tu accompagni un libro, ci tieni, sei incuriosito di incontrare persone che ti hanno letto. A volte sono incontri belli e fertili, ma possono anche essere deludenti da tutt’e due le parti. Anch’io a volte sono delusa dal lettore e bisognerebbe dirglielo, invece si “pettina” il lettore come fosse un cliente. Il libro non è un prodotto, è un’altra cosa ma è anche un prodotto. Quindi ci troviamo in questo delicato momento. La mia protagonista è costretta a tenere un corso di lettura creativa e all’inizio non è affatto contenta, ma poi scopre che la lettura è davvero un atto creativo e rimane sorpresa, qualcosa cambia in lei.

Quali sono le caratteristiche di questo nuovo rapporto con la lettura?

In effetti la lettura sta subendo una trasformazione e lo si vede soprattutto nei ragazzi. Noi abbiamo il concetto del libro qualcosa di chiuso in cui riempi i vuoti con la tua immaginazione. Un certa idea seriale che domina oggi, invece, porta un’attenzione sull’episodio con un personaggio da seguire di volta in volta.  Questo approccio porta a rileggere i classici per immaginare o addirittura scrivere un finale diverso. Questo intervento del lettore è qualcosa che spaventa lo scrittore, ma non bisogna arroccarsi su posizioni di retroguardia, bensì guardare a questo fenomeno.

Cosa pensa della diffusione della scrittura oggi?

Una volta al massimo si aveva un diario personale, oggi si comunica tantissimo attraverso la scrittura. Un periodo simile è stato l’Ottocento, in cui si è sviluppata la comunicazione epistolare e si sono scritti tanti romanzi. Io non mi sento minacciata dalle persone che scrivono, è interessante. Occorre rialfabetizzarsi alla comunicazione scritta e alla sintesi per noi che siamo di un’altra generazione e passavamo invece ore al telefono…

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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