A tu per tu con… Ishmael Beah

ishmael_beahIshmael Beah incarna e trasmette un’esperienza, quella di chi ce l’ha fatta a superare un trauma inimmaginabile. Sembra strano sedersi vicino a lui e pensare sia stato un soldato bambino, abbia potuto combattere nel suo paese, la Sierra Leone, e prendere parte a una guerra sanguinosa. In lui c’è energia positiva, trasmessa dal sorriso e voglia di guardare al futuro.

Il suo secondo libro infatti, dopo l’ autobiografia, che lo ha reso uno degli autori africani più letti nel mondo, si intitola “Domani sorgerà il sole” (edito da Neri Pozza), in inglese Radiance of tomorrow” ed annuncia uno sguardo letterario proiettato più che mai al futuro.

Lei crede che la speranza sia il valore fondamentale con cui affrontare la vita? E’ questo l’obiettivo primario del suo libro?

Ci sono diversi messaggi che volevo lanciare con questa mia seconda opera, uno però è primario e lo esprimo attraverso tutti i diversi personaggi che agiscono nella vicenda: finché sei vivo c’è sempre l’opportunità per te di fare qualcosa di buono. E’ un insegnamento che mi donò mio padre quando ero bambino. Il domani non è ancora contaminato dalle brutture del presente e contiene in sé tutte le possibilità. Ciò non significa che troverai per terra un milione di dollari, ma che ci sarà qualcuno che ti darà una mano, che condividerà con te una buona conversazione ad esempio… I miei personaggi vivono per questi momenti…

Che valore riveste invece la memoria per lei?

Questa per me è una grande sfida, perché a questione della memoria è molto importante soprattutto in quei luoghi dove c’è stato un conflitto e quindi i ricordi sono l’unica cosa che resta quando tutto attorno è stato annientato. A me era rimasto solo il fatto di essere vivo, nulla di più. Se fossi andato da qualcuno a spiegare com’erano i miei luoghi, la mia famiglia, la mia vita avrebbero dovuto credermi sulla parola, perché non avevo prove tangibili, concrete, di quello che stavo dicendo.

La gente si aggrappa ai ricordi dopo un conflitto così terribile perché è l’unica cosa che gli rimane e a questo punto quindi diventa importante l’uso che si fa di questi ricordi. Io vengo da una cultura orale, una tradizione in cui i racconti sono collettivi e costituiscono il collante di una comunità. E’ difficile mantenerlo quando le evidenze fisiche sono scomparse, ma questo costituisce una differenza tra la nostra cultura e quella occidentale nel rapporto con la verità. Per noi la memoria costituisce prova di un fatto, invece gli occidentali devono toccare con mano, devono essere tutti d’accordo.

A questo proposito quali sono i valori della sua cultura che lei ritiene più importanti e quali invece ha tratto dall’occidente?

I valori tipici sono tantissimi, ma se devo scegliere parlerei di una certa semplicità nei confronti della vita, unita al riconoscimento e accettazione della vita altrui. Lo dico consapevolmente dopo ciò che mi è successo: il mio paese è stato devastato, tante vite sono state tolte, ma nonostante questo penso ci sia rispetto della vita, autenticità e schiettezza. Da noi quando qualcuno ti chiede “come stai?” non sta facendo sfoggio di buone maniere: è che ha proprio a cuore ciò che sei. Questo consente un’interazione vera ed autentica.

Per i valori occidentali invece ne sceglierei uno che forse non è considerato proprio un valore, ma per me è stato molto importante: negli USA se dimostri di avere un talento, una data qualità e una certa ambizione, vieni gratificato e ottieni riconoscimenti. Poco importa se appartieni a un certo gruppo o una certa “tribù”. Non dico che ci sia equità totale, ma hai comunque la possibilità di raggiungere degli obiettivi e bravura e grinta ti vengono riconosciute.

Tra i suoi due libri si coglie una trasformazione, un passaggio da un prima ad un dopo. Com’è cambiato Ishmael Beah?domani sorgerà il sole

Sono successe un sacco di cose, tanto per cominciare sono invecchiato o sono diventato più grande, a seconda di come la si vuol vedere. Poi ho cominciato a pensare un pochino più a fondo a certe questioni in particolare al mio ruolo e alla mia responsabilità di scrittore. In altri termini mi sono posto il problema di come fare luce su tutti gli aspetti della vita del mio paese, non soltanto gli orrori del conflitto, ma anche le sue molte complessità. Naturalmente non sono più un soldato-bambino, anche se temo che questa cosa mi resterà dentro per tutta la vita. Anche quando avrò novant’anni mi sentirò dire: “Ecco quello è l’ex soldato bambino!”

Lei è passato infatti dalla narrazione autobiografica a un racconto.

Come scrittore desidero proporre qualcosa di nuovo ai miei lettori, che sia interessante. Scrivere sempre e solo di se stessi non mi sembrava una cosa sana. So benissimo che molti si aspettavano un seguito, ma voglio evitare il rischio di essere ripetitivo, non mi va di essere incasellato.

E’ stato difficile rendere in inglese metafore e immagini della sua lingua di origine, il mende?

Sì, ma sono felice del risultato. Naturalmente è stata ancora una volta una sfida, ma  l’accetto molto volentieri. In questo modo io stesso riscopro la bellezza della mia cultura e delle mie lingue. In Sierra Leone ci sono 15 lingue e 3 dialetti e io mi esprimo in tre di esse. Resta il fatto che credo di essere un perfezionista e trovo sempre qualcosa che avrei voluto fare meglio.

Che rapporto ha con la lettura, lei che proviene da una cultura orale?

La nostra idea di storia è qualcosa che va trasmesso, passato agli altri in qualsiasi modalità . I libri ci trasmettono i racconti per nutrire la nostra immaginazione.

Milanese di nascita, ha vissuto nel Varesotto per poi trasferirsi a Domodossola. Insegnante di lettura e scrittura non smette mai di studiare i classici, ma ama farsi sorprendere da libri e autori sempre nuovi.

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