A tu per tu con… Francesco Carofiglio

Scrivere una storia che sia in grado di colpire nel profondo dell’animo umano non è affatto facile. Credo però che Francesco Carofiglio nel suo ultimo libro “Wok” ci sia perfettamente riuscito. Questo è il racconto di un viaggio alla ricerca del sè da parte del protagonista, come ci racconterà lo stesso autore, cosa per nulla facile da compiersi, noi abbiamo incontrato e gli abbiamo rivolto qualche domanda per capire meglio questo percorso.

Se dovesse parlare di Wok e della sua storia, cosa direbbe?

Direi semplicemente che è la storia di un viaggio. Lo è stato per me, e mi sono emozionato molto – lo confesso – mentre scrivevo. E lo è per questo ragazzino per metà indiano e per metà ispanico che attraversa un pezzo di America fuggendo dal dolore, inseguendo le ombre di un passato sconosciuto e misterioso.

C’è una cosa che mi incuriosisce molto, come mai Wok non chiama mai Alice “mamma”?

È una bella domanda. Di chi ha letto con attenzione. Alice è stata sempre una madre amorevole, piena di cure, ma anche pericolosamente incapace di stare nel mondo, di accettare un destino difficile. Per Wok Alice è una mamma figlia.

Anche il rapporto con Zoe è molto particolare, vero?

Si, lo è. È, di fatto, una delle imprevedibili opportunità che il viaggio offre a Wok. Zoe è una ragazza intelligente, indipendente, con un fascino schivo, quasi maschile; è fonte di attrazione e turbamento. In un modo o nell’altro questo incontro segnerà una svolta.

Il tema del viaggio ha un ruolo molto importante nella vicenda, cosa rappresenta?

Mi viene da risponderle con un verso di una delle canzoni che amo di più in assoluto: Khorakhanè di Fabrizio De Andrè. Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare. Ecco, il viaggio è quello che sta nel mezzo, una cosa che succede, mentre succede. Indipendentemente da dove il viaggio ti porterà.

Da quando ho finito il suo libro c’è una frase che mi risuona nella testa, forse perché la condivido, ed è questa: “La verità è che ci aggrappiamo alle persone perché siamo fragili, ci innamoriamo della parte migliore di loro, e non riusciamo a vedere l’altra parte. Quella che non funziona”. La trovo una frase molto potente, che cosa ne pensa?

La ringrazio molto se lei pensa che lo sia. Ma, se lo è, non devo essere io a dirlo, ovviamente. Chi legge ha il diritto, nel bene e nel male, di attribuire senso alle parole, alle frasi, al suono stesso di una pagina. Lo faccio sempre quando leggo. E sono felice quando lo fanno le persone che leggono i miei romanzi.

Durante la lettura del suo libro, mi immaginavo le vicende proiettate sul grande schermo. Le piacerebbe vedere rappresentata la sua storia?

Si, certo. E non è detto che prima o poi questa cosa non accada.

C’è un augurio o un saluto che vuole rivolgere ai nostri lettori?

Ovviamente sì. Non sono molto bravo con le citazioni, ma alcune cose mi restano nella testa, magari non nella loro forma esatta. Conrad deve aver detto una volta: “Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore”Bene, io quello che potevo fare l’ho fatto, adesso datemi una mano a finire il lavoro. Ci vediamo presto. Frank

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Riccardo Barbagallo

Lavoro da qualche anno nell'editoria, mi occupo di comunicazione per editori e autori e sono un digital addicted. Al contrario di altri, non mi posso definire un lettore da sempre, 'La coscienza di Zeno' in prima media è stato un trauma troppo forte da superare per proseguire serenamente la relazione con la lettura. Più avanti ho deciso di leggere un libro per piacere, e non per obbligo, ed è stato lì che ho capito quale sia la vera forza della lettura: la capacità di emozionare. Credo che sia questo il segreto, se così possiamo definirlo. Non ho più smesso.

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