Federico Rampini, al circolo dei lettori di Torino, parla per due ore davanti a un pubblico, numeroso e partecipe, che lo applaude con convinzione. La presentazione del suo ultimo libro, Banchieri. Storie dal nuovo banditismo globale (Mondadori, 2013), diventa così un’occasione per riflettere sulle origini della crisi, sulle differenze e sulle somiglianze tra Italia e Stati Uniti, sulle modalità con cui i giornali raccontano le difficoltà sociali e lavorative, sul futuro che ci attende e sulle misure ancora non adottate per accelerare la ripresa dell’economia.
Una serie di argomenti trattati con un linguaggio limpido e diretto, certamente molto anglosassone: pochi giri di parole per giungere, con misurata concisione, al nocciolo di ogni questione. Rampini, dal 2009, è corrispondente da New York per La Repubblica, una città “con grande diseguaglianza sociale che ha, insieme, la concentrazione maggiore di milionari della Terra e un numero spropositato di senzatetto”. La sua permanenza oltreoceano, però, è molto precedente a questa data, con esperienze anche in California e in Cina.
Banchieri è nato con alcuni obiettivi molto chiari. Da una parte vi è l’assoluta volontà “di riportare i nomi e disegnare i volti di chi ha causato lo scoppio, e la successiva evoluzione, della crisi mondiale. Persone che non hanno ricevuto la giusta punizione per quello che hanno fatto, i veri banditi di oggi”; dall’altra si registra la necessità, sempre più impellente, di eliminare le assurde convinzioni per cui le regole e i meccanismi della finanza debbano essere studiate, comprese ed elaborate solo da pochi eletti: “credo sia importante, per tutti noi, capire meglio l’economia. Per smetterla con il vittimismo e non subirla più come una calamità naturale”.
L’Italia ha bisogno, secondo Rampini, di un netto cambiamento di rotta. Un dito è certamente puntato contro la BCE che, assai timida nei confronti della Germania, mantiene intatta la forza dell’Euro in un periodo in cui sarebbe auspicabile il contrario; parimenti devastanti sono anche le politiche di austerity, salde e inflessibili, nei confronti dei paesi già in difficoltà. L’altra accusa è rivolta alle banche italiane che “si tengono i 250 mld ricevuti dalla BCE e da Mario Draghi senza distribuirli attraverso la concessione del credito a chi ne avrebbe veramente bisogno: le piccole e medie imprese. L’Italia, inoltre, ha bisogno di una netta e decisa riduzione della pressione fiscale sul lavoro”.
Una piccola riflessione riguarda anche il mondo del giornalismo. L’inviato de La Repubblica dialoga con il pubblico sull‘assenza di notizie positive nei grandi quotidiani italiani riguardo alla crisi: quell’universo brulicante di idee, affatto sommerso, che combatte la negatività attraverso la creatività e l’innovazione; le storie, spesso ignorate, di chi si è inventato un lavoro e un futuro. Rampini non ha alcun dubbio: “Bisogna parlare di più delle realtà italiane che combattono la politica della disperazione. Ci sono tanti giovani startupper italiani che stanno diventando i capi di se stessi; di fronte, cioè, all’assenza di lavoro si assumono da soli, una pratica ben diffusa tra i loro coetanei statunitensi”.
Insomma, una mattinata domenicale che ha portato i presenti a riflettere maggiormente su una realtà possibile e auspicabile: quella in cui sono fondamentali valori come la verità e l’assunzione di responsabilità; quella in cui non compare la paura di promuovere azioni impopolari nel nome della sopravvivenza; quella stanca di assistere, impotente e disillusa, allo sfacelo e alla disgregazione del proprio futuro.