A tu per tu con… Fabrizio Silei

“Per essere la voce più alta e interessante della narrativa italiana per l’infanzia di questi ultimi anni. Per una produzione ampia e capace di muoversi con disinvoltura e ricchezza fra registri narrativi diversi: dall’umorismo alla misura breve del racconto per i più piccoli, dall’albo illustrato al romanzo per adolescenti, dal progetto creativo a un forte impegno civile. Per una costante e limpida qualità della scrittura”: con questa motivazione Fabrizio Silei è Premio Andersen miglior scrittore 2014.

Un premio, l’Andersen – Il mondo dell’infanzia, che è il più prestigioso riconoscimento italiano attribuito ai libri per ragazzi, ai loro autori, illustratori ed editori.

E questo già non è poco. Se poi gli si aggiungono tutti i premi e i riconoscimenti che nel corso degli anni – e molti dei quali proprio con le sue ultime produzioni – si è conquistato a pieno titolo… beh, si è davvero di fronte a un grande autore. Capace di emozionare e divertire. E inscindibilmente legato a un ornitorinco. Anzi, no, all’ornitorinco.

Fabrizio Silei, l’Andersen non è certo il primo premio che vince ed è recente anche la consegna del Premio Cento. Ma che cosa si prova a essere premiato come miglior scrittore all’Andersen? C’è qualcosa di diverso?

Cosa si prova a vincere i premi? Soddisfazione, non c’è dubbio. L’Andersen miglior scrittore è il conseguimento di un risultato importante. Non me l’aspettavo perché a breve distanza dall’Andersen miglior libro 9-12 anni vinto nel 2012 con “Il bambino di vetro” pubblicato per Einaudi. Devo ammettere che vi erano stati illustri pareri critici e vari riconoscimenti ai miei ultimi libri, in particolare a “Se il diavolo porta il cappello” che dovevano farmi sospettare qualcosa, invece sono stato colto di sorpresa. Lo stesso è avvenuto con il “Premio Cento” e il premio “Leggimi forte” dove “Se il diavolo porta il cappello” ha vinto ottenendo il maggior numero di voti dai ragazzi. Ben 1.790 voti nel caso del Premio Cento. Ecco, questa è stata veramente una sorpresa perché questo romanzo racconta una storia complessa, con un linguaggio ricco e una macchina narrativa complessa e lenta a svilupparsi. Finché vince l’IBBY Honour, o viene selezionato fra i migliori libri dagli esperti di Liber, pensi che siano giudizi da adulti, ma quando poi il libro vince il premio dei ragazzi, dei lettori, allora vuol dire molto, capisci che siamo tutti dentro un terribile abbaglio a una profezia che si autoavvera. Il mercato continua a inseguire il lettore debole e così facendo lo crea, ma, alla prova dei fatti, il nostro dovere è dare ai ragazzi delle grandi storie, sensate e di qualità e la verità è che se gliele lasciamo arrivare, loro, quando incontrano una buona storia la sanno riconoscere, capiscono la differenza e non temono il ricorso al vocabolario per le parole più difficili.

Anche il Premio Cento è soprattutto oggi particolare, perché è il secondo anno post-terremoto e confermare un premio per la letteratura per l’infanzia in una terra che sta ricostruendo anche la sua biblioteca, il suo teatro, la pinacoteca, i luoghi di cultura assume un significato forte: è d’accordo?

Riguardo al Premio Cento io credo, ne parlavamo con Grazia Gotti della Giuria, che abbia grandi possibilità di crescita, che possa diventare davvero lo Strega della letteratura per ragazzi. Dobbiamo riuscire a creare dei premi che portino sempre di più i ragazzi a leggere. Dei premi che facciano volare i libri vincitori, come succede in alcuni dei più rodati premi letterari del settore adulti. Tanto più che i libri del settore ragazzi, quando sono buoni, sono molto meglio dei libri che leggono gli adulti, sotto tutti i punti di vista. Credo che le storie più belle, più vere e più potenti le abbiano scritte negli ultimi anni autori cosiddetti per ragazzi e autori di fumetti o grapich novel, di quei settori che restano fuori dagli specchietti della televisione e del marketing e hanno ancora degli Autori con la A maiuscola, mossi dal desiderio di raccontare storie importanti, potenti.

Vedere Cento ferita, scempiata da impalcature e rovine, fa male al cuore. Ma trovarvi il premio significa anche trovarvi la cultura e l’intelligenza di chi sa che una città e una società non si ricostruisce partendo dai soli mattoni, che con le storie si cresce, si supera, si ricostruisce la propria vita, anche sociale e civile. Non è poco in un Paese come il nostro dove c’è stato chi nel Paese dell’arte e della cultura ha avuto il coraggio di dire da ministro che con la cultura non si mangia. Un plauso a Cento e alla Fondazione.

Qual è il ruolo oggi non tanto della letteratura per l’infanzia, ma di chi scrive rivolgendosi principalmente a ragazzi e bambini? Dalla sua esperienza: è vero che leggono poco? Che consigli potrebbe dare a genitori e insegnanti in questo senso?

Beh, capita spesso che una madre o un padre mi avvicinino chiedendomi come possono far leggere i loro figli che proprio non leggono nulla. Domando loro quanti libri hanno letto nell’ultimo anno. Mi guardano e sorridono imbarazzati, loro non hanno tempo, il lavoro, la casa… Ecco la risposta. In casa i miei figli leggono e hanno sempre letto perché il libro ha più importanza della televisione o di altro. Ci hanno sempre visto leggere, scrivere, fare attività creative o artistiche, per loro è assolutamente normale.

Cosa fate la sera se siete stanchi? Guardiamo la televisione. E i vostri figli la guardano? Certo. Certo è la risposta.

I bambini ci guardano, per citare De Sica. Fanno ciò che facciamo e danno importanza alle cose a cui noi diamo importanza. I bambini e i ragazzi leggono molto più degli adulti. Anche editorialmente sembra che tutta la baracca sia tenuta in piedi da loro. I nostri ragazzi e i nostri figli sono migliori di noi, poi, purtroppo, diventano come noi, ma non tutti. Sta a noi però indicare la strada, un bambino e un ragazzino che non padroneggia le storie avrà difficoltà a costruire la propria. E’ più facile che non vi riesca, che sia infelice, che si racconti una storia sbagliata. Tutti i giorni i media, la mentalità diffusa, lo spingono raccontarsi una storia sbagliata, a costruire la propria vita su miti inconsistenti.

Come autore non ho mai pensato a scrivere per ragazzi come un lavoro, meno male perché non è un lavoro in cui si guadagna granché. Piuttosto come alla sfida più grande, al modo più difficile e importante di fare lo scrittore e l’artista. Per un ragazzo e un bambino un libro può essere importante, può salvare la vita. A me è accaduto, ho un debito da saldare. I libri, le storie, la scrittura, mi hanno salvato la vita, liberato dall’ignoranza, dalla fabbrica a cui ero destinato, dal bisogno di senso che ciascuno di noi ha. Le domande, le ossessioni, le questioni che ci sono nei miei libri sono le mie. Le pongo ai lettori per porle a me stesso, ogni volta in modo diverso. Scrivo perché le storie vengono senza che io le cerchi ed esigono di essere scritte. Scrivo per il gusto di raccontare e la speranza segreta e patetica che le storie possano ancora, come “creature selvagge” e indomabili, cambiare il mondo e salvare la vita, dare senso alla vita. Se nel mio caso si può parlare di successo, non sono un autore da best seller, non ho la piscina e non vado in tv, credo che stia tutto qui il segreto del mio successo: nella verità e l’onestà della mia scrittura.

Lei ha recentemente inaugurato un suo atelier, l’ornitorinco: come nasce, perché, che cosa rappresenta? E perché proprio questo nome: l’ornitorinco?

Il mio Atelier rappresenta per prima cosa un luogo più spazioso dove posso giocare e incontrare gli amici. Nel mio studio casalingo, sommerso da buffe creature di legno e cartone, burattini e marionette, sculture, eccetera non entravo più. Ma è anche qualcosa di più, il tentativo di creare relazioni e cultura del libro per ragazzi e non solo nella mia città, la città di Pinocchio, al centro della Toscana e d’Italia. La scuola, l’educazione, il come si impara, l’importanza delle storie, del corpo, della creatività per la salute dei bambini e degli adulti, questi sono i temi che vorrei approdassero a L’ornitorinco Atelier.

Sono in una fase della mia vita in cui, dopo essermi mosso molto e per diversi anni fra festival, librerie, biblioteche, associazioni e aver conosciuto persone straordinarie nella loro capacità di creare legami, contatti, cultura, ho bisogno di incontrare gli altri, di parlare, di accogliere provare a fare lo stesso dove vivo. Sono molto preoccupato, ad esempio, per questa crisi che è prima di tutto una crisi culturale che si lega a una infelicità diffusa che colpisce per primi i bambini, i ragazzi. Sono addolorato per i giovani esordienti autori e illustratori che si trovano a fare i conti con un’editoria sempre più pavida e guardinga. Abbiamo bisogno, nel nostro piccolo, di fare la nostra parte. L’ornitorinco Atelier vuol essere un sorta di piccolo presidio, salotto, laboratorio, dove trovare altro, parlare d’altro, resistere.

L’inaugurazione è stato un successo, all’insegna della gratuità e della condivisione, spero che qui e nei suoi dintorni nei prossimi anni i ragazzi della Toscana possano incontrare un altro modo di pensare, di vivere, di raccontare attraverso la voce di autori, artisti, esperti, che di bambini, ragazzi e educazione si occupano. Il nome nasce da un mio libro “L’invenzione de L’ornitorinco” a cui sono molto legato. L’ornitorinco è animale incomprensibile, metafora di multietnicità, multiculturalità, interdisciplinarietà, eclettismo, diversità. Sfugge ogni classificazione, ogni stigma, ogni etichetta. Noi che facciamo questo lavoro siamo tanto più bravi quanto più siamo ornitorinchi, poi siamo anche un po’ sognatori, ci illudiamo ancora che le parole e l’arte possano cambiare il mondo e la vita delle persone, ma questo è il bello, fa parte del gioco essere un po’ ornitorinchi.

Recentemente è stato anche “docente” a “Con ludico rigore”, formazione per bibliotecari, insegnanti, educatori, genitori, promossa anche da una biblioteca scolastica, quella di Palazzolo sull’Oglio, che è quest’anno entrata in un sistema bibliotecario, cosa che non accade tutti i giorni. Quale il suo parere su questa esperienza e quale sul ruolo che dovrebbero avere le biblioteche soprattutto scolastiche?

Queste esperienze sono fondamentali, perché permettono il confronto fra professionisti, lo scambio di esperienze fra persone ancora animate dalla voglia di crescere e di esprimersi. Che ancora si interrogano sul come si impara, per poter ogni giorno educare. Persone troppo spesso lasciate sole in un meccanismo perverso che rischia di fare di loro dei controllori nevrotici sottopagati e sottovalutati, quando invece gli educatori debbono essere l’eccellenza e il fiore all’occhiello della società. Le cose stanno cambiando e la scuola se funziona, funziona ancora sulle spalle di un ristretto numero di insegnanti che resistono, si aggiornano, dialogano, salvano i nostri ragazzi con le armi del confronto, della lettura, delle storie, dell’ascolto. Insegnanti che vanno ai corsi di aggiornamento, osteggiati spesso anche dai colleghi. Mi dispiace dirlo, ma non è una questione anagrafica, sarebbe troppo semplice, è una questione culturale che ha che fare con la passione, il senso di responsabilità e la voglia di compiere meglio che possono il proprio dovere.

Le biblioteche scolastiche diceva scherzando, ma non troppo, Roberto Denti, sono fatte dai libri che i bambini non amano e portano a scuola per la biblioteca scolastica. La biblioteca funziona se c’è dentro il meglio e se c’è la qualità che fa la differenza con ciò che il bambino trova al supermercato, nelle grandi catene librarie, a casa. Ci vuole l’adulto che legga, che affabuli, avvicini al mondo della lettura e delle storie. Ci vuole un libraio indipendente e preparato che sappia consigliare e un abbonamento alla rivista Andersen, Liber, il Pepe Verde, e tante altre. Non basta tenere libri sugli scaffali. Niente riassunti dunque, niente schede, temi sui libri letti, discussioni magari, ma non domande. La biblioteca scolastica come luogo dove si recupera il piacere della lettura.

Prendete racconti per bambini e ragazzi, unitevi romanzi gialli, shakerate ed ecco che salto fuori io: letteratura per ragazzi e thriller sono passioni che mi accompagnano da sempre, insieme comunque alla condivisione del decalogo di Daniel Pennac con i suoi dieci imprescrittibili diritti del lettore. Che prevedono anche quello di “leggere qualsiasi cosa”, pur avendo una spiccata passione per quanto enunciato in apertura di presentazione. Pensando in ogni caso che nelle pagine, non sempre, ma in molti, moltissimi casi, uno scrittore ci sta donando qualcosa di profondamente suo: non per forza un ricordo, ma anche solo un modo di esprimersi, un ritmo narrativo, e ogni volta una creazione. E dunque una forza che va almeno conosciuta. Se poi questa forza avvolge fin da piccoli e aiuta a diventare lettori, oppure dissemina le pagine di indizi che trascinano chi legge in un’inchiesta al cardiopalma… allora conoscerla mi piace ancora di più.

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