Domenico Infante, già autore di Cronache del Vicolo e di Vento e Sabbia, il 10 gennaio è tornato in libreria con Sento la neve cadere. Autore napoletano, questa volta lo troviamo cimentarsi con una vicenda che si svolge completamente in terra sicula, in un paese delle Madonie, raccontata con scrittura magnetica. Una storia corale che nasce quasi in sordina ma che si fa più forte man mano che si sfogliano le pagine del romanzo fino a diventare storia di tutti gli uomini. Abbiamo voluto porre ad Infante alcune domande sul suo ultimo lavoro.
Come è nato Sento la neve cadere? E’ perlopiù frutto della sua immaginazione o di ricerche che traggono spunto da qualcosa di reale ?
L’idea nasce un po’ di anni fa, poco dopo il Natale del 2008 da una chiacchierata con la nonna della mia compagna sul libro di Giobbe. In quel momento ho pensato a un mio Giobbe, un Giobbe laico, poco incline ad abbassare la testa di fronte alla divinità. Tutta la storia è frutto della mia fantasia ma l’inquadramento storico è estremamente rigoroso. Ho letto diversi libri sulla storia delle Madonie, in particolare molte opere del professor Francesco Figlia, storico siciliano, madonita di Petralia Sottana.
Lei è legato ad un fatto o ad un personaggio del romanzo in particolare? Perché?
Si tratta di un fatto, non di un personaggio, una “scena” minore. Quella in cui Esilio, al culmine del suo viaggio palermitano, prima della rivelazione che sconvolgerà la sua esistenza, sogna di essere arrestato, torturato da Mussolini in persona, di profilo con l’elmetto, in una sorta di iconografia di regime. In quella scena dalle ferite di Esilio sgorga sangue e acqua, come in una inconsapevole rappresentazione evangelica.
Il paese in cui ha ambientato il romanzo, vista la sua vera e propria “capacità di azione” sul destino dei personaggi, può essere definito esso stesso un personaggio?
Sento la neve cadere può essere definito un romanzo corale, in cui i personaggi, affluenti del fiume principale, concorrono alla portata del fiume prima che questo giunga a mare. In quest’ottica Petralia Sottana è uno dei personaggi del racconto, perfino in alcuni luoghi che ho volutamente reso irriconoscibili, proprio perché anche il lettore che conosce bene il paese non possa identificarli. Non esiste, per esempio, una contrada Pittuso, a Petralia Sottana. Il resto dei luoghi, il corso Paolo Agliata, la piazza con la Chiesa Madre, sono tutti lì, visibili e riconoscibili.
Secondo lei, quali sono i punti di forza di questo romanzo?
La coralità è un suo punto di forza, il fatto di avere tanti comprimari, tutti e nessuno protagonisti in senso stretto. Non è protagonista Salvatore, non lo sono Esilio, né Gaspare, né Peppina. Il ritmo è un secondo punto di forza. I fatti seguono ai fatti con un ritmo veloce ma mai frettoloso. Quasi non esistono capitoli di passaggio, di transito; ogni capitolo, ogni personaggio, ogni pagina è funzionale al risultato finale.
Come arriva un autore napoletano a scrivere un romanzo ambientato in Sicilia e che riporta anche dialoghi in dialetto siculo?
Conosco bene Petralia Sottana, è un luogo che amo, un paese “verticale” appiccicato alla montagna. Ho immaginato che all’epoca dovesse essere abbastanza chiuso, distante dal clamore dei grandi centri urbani, un posto di legami molto forti. Volevo scrivere una storia di contrasto tra i rapporti umani e un regime dittatoriale che, per sua natura, tende a sgretolare questi legami per meglio controllare i singoli individui. Una volta scelta l’ambientazione, quella dei dialoghi in dialetto è stata una conseguenza inevitabile. Ambientare una storia in un luogo e dar voce a dei personaggi che non hanno studiato facendoli parlare in italiano sarebbe risultato stridente.
Considerando la quantità sempre maggiore di informazioni via internet, specialmente in ambito letterario, in che modo pensa si possa attuare una buona promozione di un libro? Quale valore lei dà all’incontro personale con i lettori?
Il rapporto con i lettori, l’incontro personale, è fondamentale. Ho un sito (www.domenicoinfante.it) un profilo Facebook e un profilo Twitter , ma incontrare le persone dal vivo, sentire le loro voci quando chiedono della scelta di una immagine o di una frase è impagabile. Una buona promozione è quella che utilizza al meglio i mezzi di comunicazione ma mi rendo conto che non sempre è possibile. Funzionano bene eventi particolari, distanti dai luoghi comuni. A Napoli funzionò molto bene una presentazione con un gruppo musicale che inframmezzava canzoni popolari a reading di brani; a Roma funzionò bene una cena degustazione in cui abbinammo quattro letture di Cronache del Vicolo a quattro vini scelti per accompagnare quattro pietanze.
Come è approdato al mondo dell’editoria e quale consiglio si sente di dare ad un esordiente?
Ho sempre scritto e sono arrivato molto tardi (nel 2006, a 43 anni) a proporre un mio manoscritto a un editore. È capitato quasi per caso, spinto da persone care che avevano intuito cose che io nemmeno pensavo si potessero fare. Ho spedito il mio manoscritto, in originale, a una sola casa editrice (Scrittura & Scritture) forse anche poco convinto. Quarantacinque giorni dopo firmavamo il contratto di Cronache del Vicolo, uscito poi nel 2007. Sento la neve cadere è il quarto titolo, sempre per la stessa casa editrice. Le mie appassionate editrici sono riuscite a costituire una squadra di autori molto affiatati e questo è un ottimo motivo per continuare a proporre a loro le cose che scrivo. A un esordiente suggerisco di trovare un editore onesto, appassionato e fidarsi. Il reciproco rapporto di fiducia paga sempre.