Torna in libreria con un breve e intenso racconto, Santa degli impossibili (Mondadori), un’autrice molto amata: Daria Bignardi. In questo breve viaggio ritroviamo il suo stile e in qualche modo anche i suoi personaggi. Questo libro infatti può essere considerato una sorta di spin-off del bestseller L’acustica perfetta. Al Salone del Libro di Torino abbiamo incontrato la nota giornalista e le abbiamo rivolto qualche domanda su questo e tanto altro.
A Milano non si affeziona nessuno?
Sembra che non si affezioni nessuno, ma in realtà non è così. Io sono milanese di adozione, ci sono da trent’anni, ho vissuto nella città dove sono nata per 19 quindi sono più milanese che altro; ma al di là della mia esperienza personale Milano è una città molto più sentimentale di quanto si possa immaginare, è una città dove c’è un sobrio e profondo senso di solidarietà. Ce ne si accorge quando ad esempio si hanno figli che vanno a scuola. Secondo me sembra che i milanesi non si affezionano ma sono semplicemente indaffarati e riservati.
Che cos’è la solitudine davvero per Mila?
Secondo me la solitudine di Mila ha a che fare con il fatto che lei ha perso per strada il suo destino, la sua vocazione; è diventata una donna che per una serie di motivi, le scelte che ha fatto, e anche quello che le è successo, ha perso d’occhio se stessa. Quindi è in un momento della sua vita, sta per compiere quarant’anni, in cui corre il rischio di ammalarsi. Quando era ragazza era molto vicina agli animali e alla natura, ora che è una madre ha un lavoro che le piace ma non così tanto da appassionarvici, ha un rapporto strano con il marito, la cosa che la emoziona di più sembra essere il rapporto con gli altri, con gli ultimi. Per esempio quando fa volontariato in carcere, quando si affeziona alla signora che chiede l’elemosina, piuttosto che all’anziano malato e il marito la prende in giro dicendole ‘’la tua corte dei miracoli’’. Però probabilmente questa cosa per lei è più importante di quello che sembra.
Parliamo di herpes e di pidocchi. Diventano momenti abbastanza meditati ed intimi più che passivi per la protagonista vero?
Ci sono due aspetti dell’herpes e dei pidocchi: uno legato al segno, alla cicatrice collegata alla stigmate di Santa Rita. I segni sul corpo che testimoniano qualcosa che non sappiamo ancora cosa sia. Il pidocchio è invece l’estraneo, sembra estraneo, all’inizio anche angosciante e pauroso, ma in realtà diventa tramite di un rapporto con la figlia e quindi di un’intimità anche nella figlia che cresce, che non è più una bambina piccola per cui il rapporto con il corpo è una quotidianità. Non a caso sono animali anche loro, come quelli a cui Mila si affezionava da ragazza.
Come mai hai deciso di inserire l’elemento religioso e in particolare il riferimento alla figura di Santa Rita?
Santa Rita è una figura che ha una grandissima potenza miracolosa; io ho scoperto per caso questa Santa di cui prima non conoscevo bene la storia, e l’ho scoperta proprio mentre ho ripreso in mano questo racconto, che inizialmente avevo lasciato. In quel momento ho rinvenuto casualmente la preghiera a Santa Rita, la Santa degli impossibili, l’avvocato dei casi disperati. Questa preghiera mi ha molto attratto perché ha una grandissima forza misteriosa e sono andata a leggermi la storia di Santa Rita, una storia molto interessante perché lei era una bambina con una grande vocazione religiosa, che però era stata costretta dai genitori a sposarsi a 14 anni; quindi per 18 anni è stata sposata e non aveva potuto coltivare la sua vocazione, che era quella di servire Cristo, di dedicarsi alla preghiera e alla vita monastica. Quando il marito viene ucciso, siamo nel 1420-30, lei prega Dio che i suoi figli non operino vendetta. Piuttosto chiede a Dio di prenderseli con sé, e Dio infatti se li prende. Lei quindi si ritrova improvvisamente vedova e senza figli, si ritrova libera di seguire la sua vocazione. Le suore però non la vogliono prendere in convento, è stata sposata per di più con un marito ammazzato; a questo punto c’è il grande miracolo di Santa Rita, che è il suo volo magico nella notte che la fa entrare da Rocca Porena dove lei vive, dentro al monastero di Cascia. Tutto questo ha una grande suggestione, Santa Rita è una delle sante considerate più potenti dal punto di vista di miracoli; è una Santa a cui sono devoti i casi disperati; è riuscita a fare della sua vita un miracolo. Naturalmente nella storia di Mila entra come una metafora della potenza femminile che è in grado di riprendere in mano il suo destino, per cui a volte a 40 anni ci vuole un miracolo per riprendere in mano la propria vita e riuscire nel miracolo a tornare se stessi. E’ questo il significato di come la figura di Santa Rita entra dentro questa storia.
Questo nuovo libro arriva da lontano, da un racconto sul Corriere. Come è cambiata la storia da quel giorno a oggi?
E’ molto cambiata perché oggi c’è un prima, un dopo e anche un vero epilogo. Intanto ha un prologo, che è la parte in cui Mila dodicenne ha una pienezza di vita in cui c’è quella frase, messa anche nella quarta di copertina, ‘’Se hai visto la luce una volta te la ricordi per sempre’’. Prima Mila non aveva questo passato, non si chiamava neanche Mila la protagonista del racconto del Corriere. Era semplicemente una donna inquieta e in crisi; ora invece la vediamo ragazzina, con questa pienezza, i genitori ancora vivi, il suo rapporto con la natura, una ragazzina che cade addirittura in estasi facendo sempre la stessa strada, osservando la natura; e poi la ritroviamo nella nuova versione completa, di questo lungo racconto, che non solo fa quello che fa, ma che riesce a dare un significato a quello che fa; nel racconto precedente era tutto più abbozzato, ora invece succedono delle cose, compreso l’incontro con Santa Rita, che prima non c’erano, un incontro letterario che è stato anche mio e che evidentemente era quello che serviva a completare questa storia.
Ci sono elementi dei tuoi romanzi precedenti che ritornano?
Molti. Questo è un po’ uno spin-off di L’acustica perfetta. Me ne sono resa conto quando l’ho finito, in qualche modo Mila ha molto in comune con Sara, che era la protagonista in absentia di L’acustica perfetta. In quel romanzo il protagonista era un uomo, era Arno, il marito di Sara; Sara non compariva mai se non con una lettera ritrovata. Mila potrebbe essere Sara, perché ci sono tante cose in comune: c’è la difficolta di comunicazione con il marito, c’è la negazione della creatività, nel caso di Sara era una creatività legata all’arte, Sara voleva disegnare ma non aveva potuto fare quello per cui era vocata perché la vita la aveva portata da un’altra parte. Anche nel caso di Mila questo è fondamentale, l’aver fatto delle altre cose, anche perché un po’ travolta dalla quotidianità familiare, il marito, i figli; hanno molte cose in comune anche il bisogno di assoluto. E poi ci sono dei problemi in comune a tutti i miei romanzi: la famiglia, il senso che il destino sia legato alla storia familiare – nonni, figli, nipoti – in un percorso che se non viene raccontato rischia di creare dei nodi, dell’infelicità e anche a tragedie come nel caso del mio romanzo L’amore che ti meriti. Mi sono chiesta se questo racconto, che è piccolo ma molto denso, non potrebbe chiudere in qualche modo, come se fosse un approfondimento dei miei temi; ma forse continuerò a raccontare di questi temi.
I tuoi personaggi provano molte emozioni, tu curi molto questo lato…
Io sono molto vicina ai miei personaggi. Non li giudico; io li metto in scena, li sto molto ad ascoltare, racconto quello che vedo come se fosse una soggettiva che parte dai loro occhi. Descrivo quello che loro vedono e sentono, lo descrivo ma non lo giudico. In questo senso i lettori si identificano molto in uno o in un altro personaggio, nelle loro relazioni. Penso che il mio modo di scrivere sia molto immediato e questo aiuta ad entrare nella storia molto profondamente e intimamente.
Nei tuoi libri c’è spesso una mail. Scrivi con i tuoi lettori? Ti piace parlare con loro?
Sì, è la cosa più bella: la condivisione. Io scrivo tanto anche per questo. Se non potessi condividere non so se scriverei. La condivisione di quello che si fa è importantissima; il mio è un lavoro solitario, faticoso e che ruba da pezzi della tua vita, dalla tua quotidianità: se non ci fosse colloquio con il lettore rimarrebbe un esercizio sterile, mentre invece è qualcosa che rimane vivo e che mette in comunicazione con gli altri. Per me gli altri sono molto importanti. Il momento della condivisione entra proprio dentro la storia; il lettore illumina dei dettagli che tu scrivi e che lui interpreta e sceglie; secondo me il lettore finisce il libro. Nell’individualità del lettore la storia entra in modo diverso, i personaggi che tu hai creato lui li capisce e li interpreta secondo le sue esperienze. La scrittura è un veicolo. Ogni lettore aggiunge qualcosa alla storia che hai scritto.