Incontrare Corrado Augias ci ha dato l’opportunità di ringraziarlo personalmente per i consigli di lettura che ci ha consegnato tramite le sue recensioni e le trasmissioni televisive, tra cui Storie, in onda alle 13 tutti i giorni su Rai Tre.
Le tematiche proposte erano le più disparate: dalle problematiche forti e drammatiche alle riflessioni lievi, ma venivano sempre trattate in modo garbato, con un assoluto rispetto del pensiero umano nel suo senso più alto, degli ospiti che di volta in volta si avvicendavano e non da ultimo degli ascoltatori e dei lettori. Potevamo dissentire su quanto veniva espresso e in quel preciso momento avevamo la piacevole sensazione che era proprio quello che Augias si auspicava: che ci fossero persone non d’accordo con lui. Nella chiacchierata che segue abbiamo cercato di seguire il filo dei suoi libri più recenti.
Un suo saggio, pubblicato da Rizzoli nel 2012, si intitola “Il disagio della libertà”. Pare proprio che gli Italiani amino essere soggiogati. Per quale motivo? Qual è il prezzo della libertà che non sono disposti a pagare?
Gli Italiani non vogliono gestire da soli il proprio destino: cedono sempre alla tentazione di cercare qualcuno che li tolga dai guai, che risolva i loro problemi. Per scrivere quel libro sono partito da una considerazione ovvia: per più di 40 anni sugli ultimi 100 (ed è grave) abbiamo affidato il nostro destino ad una persona che ha promesso, come si dice da voi a Milano “Ghe pensi mi” e cioè “i vostri problemi ve li risolvo io”. Questo vuol dire fare a meno della libertà: gli Italiani non vogliono affrontare la difficoltà della lotta.
Ma esistono gli Italiani?
Esistono tanti tipi di Italiani sia in orizzontale che in verticale. Ci sono quelli molto perbene e quelli molto “per male” poi i veneti non sono uguali ai calabresi ecc. Questa penisola è lunghissima e stretta e ciò ha reso molto difficili le comunicazioni con le conseguenze politiche ed antropologiche che conosciamo: dal cibo al modo di pensare, le relazioni con gli altri, siamo diversi e lontani da un sentire comune.
Lei ha scritto molti libri sulle figure importanti della Chiesa, ricevendo numerose critiche. A me sembra però che nelle sue pagine trapeli per esse un profondo rispetto, che passa attraverso un’indagine anche psicologica.
Sì, in effetti è così. Oggi mi fa piacere constatare come molte delle critiche che facevo da cronista le fa il Papa, naturalmente con il suo linguaggio e punto di vista, quindi sono ampiamente coperto. Io verso la figura di Gesù ho un grande rispetto. Non credo che sia figlio di Dio, cosa che non so nemmeno cosa voglia dire in realtà: penso proprio che il dio degli Ebrei non si sarebbe mai sognato di fare un figlio, fecondando una donna mortale attraverso lo Spirito Santo. Ma amo Gesù per ciò che di lui traspare nelle scritture e nella storia. Per Maria è diverso: è una figura di donna di cui le scritture non si occupano, è assolutamente marginale e negli atti degli apostoli addirittura scompare.
Su questo argomento lei ha pubblicato recentemente un saggio, sempre per Rizzoli, intitolato “Inchiesta su Maria”
Questo libro è stato scritto insieme allo storico Marco Vannini, che ha effettuato un’ indagine impeccabile sulla progressiva costruzione della figura di Maria, che comincia nel quarto secolo e finisce con il dogma di Pio Decimo del 1950. L’immagine della Madonna viene man mano accresciuta in qualità, doti, virtù ed è sempre più venerata. Il culto mariano in effetti è di grande importanza anche per il numero di fedeli che effettuano pellegrinaggi nei luoghi delle sue apparizioni. Certamente e le dirò che di fenomeni come Medjugorje non varrebbe nemmeno la pena di parlare: è una situazione gestita da alcuni frati su cui anche la Chiesa stessa è molto cauta. È importante però il fatto che ci siano milioni di persone che si recano lì ogni anno: tutto questo avviene perché c’è un enorme bisogno di essere consolati. Si comprende quindi perché la figura di Maria sia stata inventata e potenziata: c’era bisogno di una donna nella religione cristiana in cui sono tutti uomini e un uccello, la colomba. Ci voleva una madre di misericordia, che consolasse gli uomini.
Lei è stato uno dei primi conduttori a parlare di libri nei suoi programmi televisivi. Cosa ne pensa della spettacolarizzazione della letteratura che sta caratterizzando questo periodo?
Recentemente è morto Roberto Cerati (presidente della casa editrice Einaudi, ndr) un uomo che per tutta la vita si è battuto per i libri. Quando sentiva i redattori che parlavano di tirature e di vendite aveva un urto di nervi. Io penso che questo sia l’andazzo, c’è poco da fare: presentare un libro diventa più importante che scriverlo come in politica avere un’immagine conta più che proporre un programma da realizzare. Si pensi a Berlusconi e Renzi, due personalità diverse ma uguali nell’abilità con cui sanno vendersi e proporsi. Berlusconi in vent’anni non ha combinato niente contando su maggioranze che nessuno ha mai avuto, Renzi non so…vedremo. È la civiltà dell’immagine alla quale partecipiamo tutti, in tutto il mondo. Ci sono stati moltissimi film saggi a rappresentarla e anche gli studi della scuola di Francoforte: è dal 1945 che si dicono queste cose. Cosa si può fare? Magari voi col vostro sito ed io con le mie recensioni cerchiamo di segnalare qualcosa che secondo noi vale la pena e che non troverebbe spazio altrimenti.
Vuole lanciare un messaggio sulla lettura e la scrittura dedicato ai nostri lettori, “Amanti dei Libri”?
La mia idea è che la parola scritta su un foglio di carta, e all’occorrenza su un supporto elettronico, è ancora oggi il mezzo più potente di diffusione di qualsiasi messaggio. Per quanto riguarda poi la comodità della carta per me è insostituibile: quando ho un libro in mano posso andare avanti e indietro, sottolineare una cosa con la matita, leggere due volte una pagina se non ho capito bene. Non c’è paragone tra maneggiare il blocchetto di carta tenuto insieme dalla copertina e scorrere su e giù il rotolo di pergamena elettronico del computer!