Nuovo incontro per i vostri “Amanti dei Libri”. Oggi vi proponiamo l’intervista che abbiamo realizzato a Charlotte Link, autrice che è recentemente tornata in libreria con “Oltre le apparenze”. Venite a scoprire cosa ci ha raccontato…
Lei ha iniziato a scrivere giovanissima, quando era poco più che adolescente, cosa l’ha spinta a farlo?
Ho avuto sempre un grande amore per i libri, sin da bambina, e da ragazzina leggevo tantissimo, cosa che faccio ancora oggi. I libri sono sempre stati per me una delle cose più importanti della vita. Quindi ad un certo punto ho pensato che sarebbe stato bello smettere di consumare i libri e basta, e di provare a scriverne uno io. Ho cominciato dunque a scrivere per il piacere di farlo, senza sapere se sarei riuscita a portare a termine quest’impresa. E invece alla fine è nato un libro.
Come mai dopo aver scritto per anni dei romanzi storici ha deciso di passare al genere giallo – thriller?
Ho scritto romanzi storici da giovanissima, dai sedici ai ventisei anni, poi ho cominciato a capire che i romanzi che stavo scrivendo avevano successo – confermato da editori e lettori – e ho maturato il timore di ritrovarmi a sessant’anni a scrivere ancora le stesse cose. Inoltre sapevo quanto fosse difficile staccarsi da un cliché che ti hanno appiccicato addosso. Io sono riuscita a staccarmene per tempo, a cambiare genere e ad occuparmi di persone del mio tempo, cosa che mi interessa molto di più.
Nel suo ultimo romanzo “Oltre le Apparenze” le figure femminili da Lei descritte sono quelle di donne tormentate e, ognuna a modo suo, succubi dei mariti e delle proprie storie familiari. Secondo Lei da questo punto di vista la situazione della donna è cambiata in meglio o in peggio con l’evolversi della società?
Credo che lo sviluppo sociale abbia offerto alle donne molte possibilità per crearsi un’esistenza libera e indipendente, cosa che naturalmente non cancella certi problemi legati alla storia personale di una donna, che nascono in genere dalla sua infanzia e che quindi sembrano predestinarla ad essere una vittima. Ritengo che lo sviluppo sociale nel suo complesso non possa fare nulla – o ben poco – quando ci sono di mezzo certe storie personali.
“Aveva sperato di sentirsi meno sola in una casa piena di gente, e invece era accaduto il contrario. Ognuno badava ai fatti suoi, nessuno sembrava conoscere davvero i suoi vicini, ci si viveva nel maggior anonimato possibile” e ancora “ Sempre solo, sempre chiuso in se stesso…..Era goffo, incapace di allacciare rapporti con il prossimo” Possiamo dire che, al di là della ricerca dell’assassino, la solitudine, il senso di isolamento e le difficoltà nel gestire le relazioni interpersonali siano un po’ il filo conduttore di tutto il romanzo?
In quasi tutti i miei romanzi la ricerca del killer non è l’aspetto che mi interessa e anche in Oltre le apparenze è così. Certo, l’autore del crimine va ricercato, ma ciò che mi preme raccontare, quando scrivo, e ciò che forse più interessa accertare, è la storia di personaggi, della loro solitudine e del dolore che provano nel sentirsi soli al mondo.
L’accuratezza nella descrizione degli aspetti psicologici che è uno dei tratti caratteristici dei suoi romanzi è dovuta a puro spirito d’osservazione, ad una grande capacità immaginativa oppure prende spunto da fatti e persone reali?
Direi da tutte queste cose allo stesso tempo. Da ogni singola cosa io traggo un po’ di ispirazione, trovo interessanti le persone e quando sono in mezzo alla gente osservo e in un certo senso risucchio le persone, guardo come si presentano, tento di capire cosa si nasconde dentro di loro e formulo ipotesi che qualche volta si rivelano anche corrette. In generale direi che traggo spunto dalle cose che mi circondano.