Ho incontrato Catherine Dunne a Torino in occasione del Salone Internazionale del Libro per una piacevole chiacchierata a proposito del suo ultimo libro “Un terribile amore” (Guanda). E’ ambientato tra l’Inghilterra, Cipro e la Spagna e racconta la storia avvincente e complicata di due donne, Calista e Pilar, apparentemente distanti tra loro ma accomunate dallo stesso desiderio di affermare se stesse in un universo ancora prettamente maschile.
Spesso nelle sue interviste sostiene che sono le storie a scegliere gli scrittori. Il suo ultimo romanzo ha molto della tragedia greca – si parla di amore, di desiderio, di tradimento, di vendetta – perché crede questa storia abbia scelto proprio lei perché la raccontasse in chiave moderna?
E’ parte della magia e del mistero dello scrivere. In realtà i miti greci mi hanno appassionata fin da bambina. Alcuni li ho riletti qualche anno fa, uno era il mito di Agamennone e Clitennestra. Quello che mi affascina dei miti greci è che nonostante siano antichi di migliaia di anni riprendono temi che sono ancora molto moderni. Ho deciso di accettare la sfida e di raccontarli usando le parole che appartengono alla nostra epoca.
Racconta la storia di due donne che non si conoscono ma che hanno molto in comune. Entrambe sono legate a uomini molto più grandi di loro, entrambe sono destinate a soffrire per amore. Che cosa la affascina di queste eroine femminili?
Ho seguito un mito, quindi avevo già una struttura preconfezionata a cui dovevo attenermi il più possibile. Ho voluto però che fossero delle donne economicamente indipendenti, che traessero soddisfazione dal lavoro e dall’essere madri. Soffrono, ma non sono sconfitte nel vero senso della parola, sono più che altro impegnate in una lotta che non ha mai fine, come la lotta tra Agamennone e Clitennestra destinata a continuare nelle generazioni e negli anni.
Quando scrive pensa ad un potenziale pubblico di lettori?
Può sembrare strano ma quando scrivo non ho in mente un progetto completo per cui non penso a chi potrebbe essere destinato. Io sono il mio primo lettore e quello che scrivo deve innanzitutto convincere me. Sono un critico molto severo di me stessa.
Crede che la letteratura debba avere un fine didattico?
Non credo che la letteratura in sé debba essere necessariamente didattica. Spetta ai lettori cogliere degli eventuali insegnamenti da aggiungere al semplice piacere della lettura.
Dove scrive, c’è un rituale che compie prima di iniziare un libro, e cosa le piace fare invece quando ha terminato un romanzo?
Ho una stanza nella mia casa dove non entra nessuno. Mi ci chiudo dentro per scrivere, accendo delle candele per illuminarmi, mi piace che l’aria sia profumata. Lascio quella stanza alle 19.00, chiudo la porta e né io né nessun altro può più entrarci. Cosa mi piace fare quando ho finito un romanzo? Mi tuffo letteralmente nei libri degli altri. Quando scrivo non ho mai tempo di leggere. Sul comodino ho pigne di libri.