Al Salone del libro non poteva mancare la presenza di Carlo G. Gabardini e del suo primo libro “Fossi in te io insisterei”. Un intervista a cuore aperto su un libro che somiglia più a un figlio, il figlio di un padre polivalente che non si accontenta di fermarsi davanti a delle etichette; scrittore, attore, youtuber, figlio, padre non basta una voce per descriverlo.
Molto spesso sostieni che “scrivere è scegliere”, tu che non sai scegliere il gusto dell’acqua hai deciso di farlo, come mai?
È un dubbio enorme perché quando arrivo a dire che scrivere è scegliere è lo stesso momento in cui nella lettera dico che mi sono scelto il lavoro peggiore del mondo, io non posso fare questo lavoro perché non so scegliere niente. Io scrivo da sempre, ho scritto una commedia a quattordici anni, però prima non mi rendevo davvero conto di quanto questo fosse davvero una scelta perché comunque scrivere una sceneggiatura è molto diverso da scrivere un libro: la sceneggiatura non è l’opera d’arte in sé, è uno strumento per realizzarla, mentre il libro è l’opera. La stessa cosa vale per questa lettera, io ho bisogno di scrivere questa lettera, indipendentemente dalla pubblicazione, sto parlando a mio padre e questo mi aiuta molto a scegliere una parola piuttosto che un’altra.
Il tuo coming out è stato sulla bocca di tutti, ed ora con questa lettera ti sei messo completamente a nudo. Come ti senti a sapere che la gente che incontri per strada sia a conoscenza di ogni dettaglio della tua storia personale e delle tue emozioni?
Ci sto pensando da qualche giorno a di la verità perché me ne rendo conto, prima non mi ponevo il problema poi c’è stato qualcuno che mi ha fatto notare che effettivamente forse mi sono messo troppo a nudo con questo libro. Da un lato penso che sia una cosa inevitabile perché io qui sto parlando a mio padre, e credo che mio padre sia effettivamente in questo libro che diventa paradossalmente mio padre e mio figlio contemporaneamente ed è una sensazione stranissima. Io sono così e non so come mi sento a riguardo perché se ci penso anche su Twitter sono molto trasparente, però è un’altra cosa, potrei dire che questo libro è tweet più lungo della storia.
Con questa lettera tu dici di voler in qualche modo esorcizzare l’immagine di tuo padre, liberandolo dalla tua mente. Credi di esserci riuscito?
Questa è l’altra domanda che mi pongo spesso, sicuramente delle cose sono cambiate ma dirti che veramente l’ho risolta sarebbe una bugia. Per certi versi ho preso coscienza di molte cose, scrivendo mi sono reso conto che dopo la morte di mio padre non so più come andare avanti, né a scrivere né a vivere, quindi gli racconto in tempo reale quello che mi è successo e raccontandoglielo lo comprendo anch’io. Ad esempio quando scrivo di volere un figlio io non pensavo che l’avrei mai detto, non ci avevo mai pensato, è una cosa che è uscita da sola che mai avrei detto qualche mese prima.
Nel libro scrivi una frase bella e emblematica allo stesso tempo, ovviamente sempre riferita a tua padre: “coniugo un te in un me e ne nasce una cosa nuova: la vita ancora da vivere”. Ce la vuoi spiegare raccontare?
Per me questo significa tante cose, da un lato c’è il fatto che io sostengo che tutti prima o poi deluderanno le aspettative dei proprio genitori, proprio perché sono le loro e non le nostre! Dall’altra parte dico che io non voglio essere un self made man, io non voglio farmi da me io voglio essere fatto da mio padre, io voglio essere in relazione con gli altri. L’esempio che spiega meglio è il mio primo coming out, quando vado da mio padre a dirgli che non farò l’avvocato ma farò l’attore, e dopo il video “Marmellata e Nutella” molti mi hanno detto che quel video è un’arringa. Lì mi accorgo che io non voglio essere la brutta copia di mio padre, nessuno dovrebbe essere la copia del suo maestro, io voglio prendere quello che c’è da prendere da lui perché sotto sotto io voglio fare l’avvocato e mi rendo conto che in realtà lo sto facendo però con le cose che so fare io. Coniugo un te, il tuo essere avvocato, il tuo essere giusto, in un me che sono quello che sono e nasce una nuova cosa ovvero quello che posso fare da adesso in poi perché ho capito che non devo struggermi perché non sono quello che voleva lui.
“Fossi in te io insistere”, quante volte sarà echeggiata dentro di te questa frase, ricordi un momento in particolare in cui senza questo mantra saresti stato perso?
Nel libro sì utilizzo questa frase proprio come mantra quando ad esempio mi metto a dieta, in realtà però questa questione dell’insistere mio padre me l’ha passata sotto pelle. Io insisto tanto e su tutto, ormai non devo neanche più ripetermelo, però se non fosse così credo che avrei fatto un quarto delle cose che ho fatto, anche quelle più semplici. Certo insistere diventa anche un rischio, prima o poi bisogna mollare il colpo perché se non ti accontenti mai non sei mai contento.
Possiamo dire che la morte di tuo padre ha condizionato la tua vita, credi che se lui fosse ancora qui avresti fatto le stesse scelte?
È una domanda bellissima e mi viene da dirti di no, credo che la mia vita sarebbe diversa ed è strano perché vuol dire che mio padre avrebbe preso delle decisioni per me? No, penso che voglia dire che avrei avuto il consiglio di mio padre e mi avrebbe fatto fare altre tipo di scelte. Io penso che gran parte del problema di cui parlo nel libro ovvero mio padre che è nella mia testa, il fatto che io non l’ho lasciato andare, si traduca nel fatto che io quando è morto ero convinto che la mia vita sarebbe andata molto peggio quindi ho cercato di tenerlo qui dentro di me.
Quando è stato il momento in cui hai preso coscienza che era giunto il momento di lasciare andare tuo padre, come dicevi anche prima, di dargli un posto al di fuori della tua mente?
Ci sono tanti frammenti nella mia vita che mi hanno fatto riflettere sulla questione di mio padre, però sinceramente non so quale fu il momento in cui ho preso coscienza che era il momento di lasciarlo andare. Una volta una mia ex ragazza che mi conosce molto bene mi fece notare che io parlavo moltissimo di mia madre e che secondo lei dovevo iniziare a parlare di mio padre, e quello credo sia stato il germe che mi ha fatto pensare perché non parlo mai di mio padre? È un po’ come rendersi conto che lo stavo fintamente dimenticando, anzi che io avevo un rapporto molto intimo con mio padre ma era tutto nella mia testa per evitare di prendere coscienza della sua assenza.
Nel libro dici che molto spesso ci viene attaccata addosso un’etichetta che non rifiutiamo per non deludere gli altri, ma secondo te quali sono gli elementi che ci fanno capire che abbiamo addosso l’etichetta sbagliata?
Secondo me l’etichetta è un po’ sempre sbagliata io credo che nessuno di noi sia una cosa sola, perché sono parole molto riduttive come ad esempio è un attore oppure è gay, ognuno di noi ha diritto a più di un’etichetta. Io questa cosa la capisco in continuazione, perché non comprendo perché debba scegliere una sola cosa. L’etichetta di per sé a volte è per semplificare e ci può stare, il problema dell’etichetta è che quando te la mettono addosso e ti chiudono in una scatola per non tirarti più fuori. E da qui deriva anche tutta la questione sul coming out, quelli esistenziali sono più difficili di quelli sull’omosessualità perché l’omosessualità è di pancia è la natura, io sono questo! Soffri di più a non fare il coming out però è al contempo difficile, perché svegliarsi magari a cinquant’anni e rendersi conto di aver sbagliato tutto nella vita è ancora peggio perché devi ricominciare da capo. Il cambiamento fa paura ed ho paura anch’io, però voglio cambiare anzi si deve cambiare facendo propria anche la paura stessa.