Abbiamo avuto l’opportunità di incontrare Beppe Severgnini e di parlare con lui di Signori, si cambia, il suo ultimo libro che ci racconta dei suoi incredibili viaggi in treno verso destinazioni fantastiche, macinando migliaia di chilometri sulle rotaie di tutto il mondo. Ecco cosa ci ha raccontato!
La prima domanda che sorge spontanea nella mente di molti lettori è sicuramente “Ma perché?” Perchè farsi così tanta strada in treno e, soprattutto, come ha fatto a convincere sua moglie a venire con lei, due volte!
Beh, diciamo che la prima volta avevamo 29 anni io e 24 lei e questo sicuramente aiuta, ma credo che un modo per sperimentare la coppia sia sperimentare un treno a lunga percorrenza. In mancanza di meglio, a una coppia di Torino consiglio per esempio un viaggio a Reggio Calabria; in questo modo si impara qualcosa l’uno dell’altro.
Come fare per convincere della magia di un viaggio in treno quelli che lei definisce “ignoranti pigri”?
Bisogna ingannarli, perché se cerchi di convincerli parlando con loro non lo capiranno mai. Bisogna per esempio suggerire loro una meta interessante; di solito si dice che la meta è il viaggi stesso, ma a queste persone non bisogna dirlo, perché essendo ignoranti ed essendo pigri non capirebbero. Bisogna dir loro che alla fine del viaggio ci sarà una cosa meravigliosa, che sia Miss Universo o Dybala clonato quindici volte, qualunque cosa! L’importante è farli viaggiare, perché poi il viaggio ha un modo tutto suo di convincere le persone.
All’interno del libro, lei cita un passo di Tim Parks che sostiene che “la ferrovia ci esenta da ogni responsabilità di marcia e di manovra”. Non sarebbe lo stesso anche in aereo, con l’aggiunta di un volo, che ha sempre un certo fascino?
In realtà no: il volo è semplicemente un modo comodo di passare dal punto A al punto B, ma tutto quello che c’è tra quei due punti non si vede. Il viaggio in treno, invece, segue tutti i punti della linea e questo è fondamentale; il volo è qualcosa che all’uomo abbiamo portato successivamente, ma non riusciamo a metabolizzarlo realmente come fanno gli uccelli. Per capire veramente tutte le dimensioni dello spostamento e del cambiamento niente è come il viaggio in treno o comunque via terra: in Transiberiana ho visto le facce europee diventare facce cinesi e te ne accorgi gradualmente, in America ho visto Washington trasformarsi lentamente nel Sud. Anche in Italia è così: se prendi un treno da Trieste a Trapani, quando arrivi a destinazione in qualche modo hai sentito il sapore di tutta l’Italia, l’hai vista cambiare pian piano, mentre se prendi un treno vedi semplicemente Trieste e Trapani.
Lei racconta, condividendo con noi uno dei suoi ricordi più cari, il viaggio in treno da Washington a Washington, fatto insieme a suo figlio Antonio. Tralasciando gli aspetti più materiali, cosa le è rimasto di quell’incredibile viaggio intorno all’America e, probabilmente, dentro se stesso?
Noi tutti gli anni cerchiamo di fare un viaggio insieme, anche solo andare a vedere un evento sportivo o girare la Sardegna in moto. Credo che questo viaggio mi abbia convinto che stare con mio figlio significhi rispettare i suoi tempi, le sue cose da fare, i suoi silenzi e lui ha imparato a sopportare me. Finché si è bambini si ascolta i propri genitori, ci si fida e li si ammira, ma viaggiare con un figlio che ha già vent’anni significa cercare di guadagnarsi la sua ammirazione in ogni momento. Non è stato difficile, ma molto affascinante, perché è stata un’occasione di apprendimento reciproco.
Lei ha definito in più occasioni i treni come dei “confessionali ambulanti”, in cui ritrovare noi stessi negli occhi di uno sconosciuto. Quale, tra i tanti viaggi che ha fatto, le ha dato l’opportunità di vedersi con una chiarezza mai più sperimentata?
Sì, mi è accaduto spesso: in una dozzina di volte mi sono coperto diverso, magari più buono o, in alcuni casi, più egoista o distratto. Il treno è una scoperta di noi stessi e una scuola ambulante.
Parliamo dei compagni di viaggio: sicuramente avrà visto qualunque tipologia di viaggiatore possibile; ce n’è una che ricorda con particolare fastidio?
Le persone che urlano sui treni, dentro i loro telefoni disturbando tutti quanti non mi piacciono; non mi piacciono gli invadenti, che conquistano militarmente il bracciolo e non lo mollano più e le persone che davanti a uno sconosciuto compagno di viaggio magari in difficoltà non pensano che in qualche modo il destino ci abbia messo insieme in quel momento e che bisogna aiutarsi a vicenda.
Chi sono invece i compagni ideali per un viaggio come quelli raccontati nel suo libro?
Direi i compagni di viaggio attenti: quello che parlano quando è il momento di parlare e che sanno tacere quando è il momento giusto.