A tu per tu con… Antonio Caprarica

antonio capraricaLaureato in filosofia presso l’Università della Sapienza di Roma, giornalista Rai di fama nazionale ha lavorato come inviato fisso del Tg1 nei paesi mediorientali, per poi successivamente spostarsi a Londra e a Parigi. Nel corso della sua carriera ha scritto diversi libri: La ragazza dei passi perduti – scritta con Giorgio Rossi – (1986) e La stanza delle scimmie (1988) editi da Mondadori; Dio ci salvi dagli inglesi… o no!? (2006), Com’è dolce Parigi… o no!? (2007), Gli italiani la sanno lunga… o no!? (2008), Papaveri&Papere (2009), I granduchi di Soldonia (2009), C’era una volta in Italia (2010), La classe non è acqua (2011), Oro, argento e birra (2012), Ci vorrebbe una Thatcher (2012), Il romanzo dei Windsor (2013), editi con Sperling & Kupfer.

Il suo ultimo libro Il romanzo di Londra (2014), pubblicato per Sperling & Kupfer è un intreccio di «storie antiche e nuove che nascono dalle strade e dalle pietre, dai luoghi più gloriosi, paurosi e incantevoli della metropoli.»

Lei è stato tantissimo Paesi, ha viaggiato in Europa e in Oriente. Con un’esperienza così vasta, cosa distingue secondo lei Londra da tutti i posti che ha visitato?

La capacità di accogliere e integrare istituzioni da tutti riconosciute, una lingua da tutti amata, popoli, lingue e culture così diverse. In questo ci sono poche altre esperienze al mondo, perchè l’integrazione britannica non è un melting pot in cui le identità si sciolgono, al contrario, è una sorta di insalatiera, salad bowl, come viene chiamata: ogni foglia mantiene la sua peculiarità ma tutte assieme producono un cibo degli dei.

Cosa l’ha portata a scavare nella città londinese alla ricerca delle storie che ci narra nel suo libro? Sente di aver svelato anche una parte di sé?il romanzo di londra

No è vero che raccontando la città ho raccontato una parte della mia vita: una larga parta della mia esperienza umana corrisponde al periodo là. Ho cercato di narrare Londra come una donna, come un qualsiasi essere umano, aspetti riservati, segreti, non esplicitati ai viaggiatori e al turismo, ma per farlo bisogna viverci, amarla, parlarle, scoprirne il carattere, il profumo, lo spirito… Come in tutte le storie d’amore, tu cerchi l’amata, ma mentre la cerchi in qualche modo sveli la tua identità, credo sia evidente. Per questo il mio libro è più un romanzo che un saggio, cercando Londra ho cercato anche la mia identità.

“Chi è stanco di londra è stanco della vita”. Crede che questa frase emblematica di Samuel Johnson sia adatta tutt’ora per descrivere Londra? O secondo lei ne esiste una più adatta?

No non posso andare oltre il Dr Johnson, non mi azzardo, anzi dico che anche oggi è il modo migliore per narrare Londra: è così esaltante, eccitante, changeble, come dicono loro, mutevole, che continua a eccitarti ogni giorno e ogni giorno richiamare la tua attenzione. Per questo Johnson diceva così, la città offre tutto ciò che un uomo desidera dalla vita ed era vero nella londra del 700 e lo è anche ora nella londra del 2015!

Cosa ne pensa del giornalismo oggi? Cosa è cambiato nel corso degli anni?

Stavo per chiederle se ha una domanda di riserva, ma non sfuggo, perchè è importante e serio come argomento. Il giornalismo è fondamentale in una società democratica e libera; sono preoccupato di constatare che i fondamenti del mestiere, che sono curiosità e onestà, non sono privilegiati nel mondo dell’informaziuone e dei social netowrk, che sono così larghi e decisivi nell’informazione. Con la rivoluzione di Internet sono venuti a cadere la barriera o il filtro che in qualche modo era costituito dall’etica della professione: oggi chi si mette a picchettare sul suo pc non ha fatto il giuramento di Ippocrate giornalistico, ma è qualcuno che ha deciso che vuole dire qualcosa senza le regole della mia generazione giornalistica. È un momento interessante, poiché sembra che le capacità di espressione e affermazione di un individuo siano amplificate, ma questo rischia di minacciare la correttezza dell’informazione dei rapporti fra gli esseri umani.

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