A tu per tu con… Alessandra Arachi

alessandra araciDopo 20 anni dal grande successo di Briciole, Alessandra Arachi è tornata a parlare di disturbi alimentari, occupandosi della storia di una ragazza malata di anoressia nervosa, raccontandola, questa volta, dal punto di vista della madre. Non più briciole si preannuncia un nuovo successo, quindi abbiamo approfittato della presenza dell’autrice al Salone Internazionale del Libro di Torino per farle qualche domanda in più.
In questo si parla di anoressia ma anche della colpa attribuita alle madri. Perché vengono reputate le responsabili di questo disturbo alimentare?
Questa domanda andrebbe fatta a chi le reputa colpevoli; c’è tutta un’esegesi dei padri nobili della psicanalisi, ma nessuno di loro si è mai permesso di dire che la mamma è la colpevole dell’anoressia. Gli esegeti dei giorni nostri, io li chiamo d’accatto ma non posso fare nomi, dicono che i padri nobili affermano queste cose. In realtà cito un avvocato, Giulia Buongiorno, famosa per tanti processi, in un’intervista recente ha detto ‘’Se prendi la Bibbia puoi farle dire quello che vuoi, anche che è un libro porno’’.
Così se prendi Freud e lo tiri per la giacchetta, o Lacan o quant’altro le mamme vengono descritte nelle maniere più orribili.
Non si può negare che la madre sia il primo nutrimento per tutti, esistono madri meravigliose e non, ci sono certamente anche madri che sbagliano in mala fede come in buona fede, però quello che penso, avendo alle spalle una buona scuola di pensiero, è che un conto è ingenerare un rapporto nevrotico con il cibo, un conto è ingenerare una malattia mentale. Quindi questi archetipi di mamme vengono usate in questa maniera scomposta, addirittura inventate, perché esiste una persona reale di cui non faccio nome, che si è inventata come archetipo ‘’le mamme pattumiere viventi, le mamme aspiratutto’’.
La mamma del mio libro quando va a letto dice ‘’Vorrei sapere come è fatta una mamma-pattumiera’’; non contenta di adoperare gli archetipi come sapeva lui, si è inventato questo mito delle mamme ultra ossessive, divoratrici. Marta decide di non accettare questo stereotipo e lotta con tutte le sue forze, giusto?
Mamma Marta è un po’ una somma di tante mamme; io ho scritto ‘’Briciole’’ 21 anni fa e prima mi venivano a cercare le ragazzine, poi tante mamme. Io ho conosciuto tante mamme meravigliose e doppiamente disperate perché le loro figlie erano anoressiche per cui erano terrorizzate. Non tutte erano così combattive come Marta, Marta l’ho voluta fare anche come conforto, come esempio l’ho voluta descrivere così combattiva. Una psichiatra che stimo molto, Laura Dalla Ragione, responsabile di uno dei migliori centri pubblici in Italia a Todi, ha letto il libro ed è rimasta incantata; ha detto ‘’Io conosco circa cinquanta associazioni di parenti di figlie anoressiche e voglio darglielo per conforto’’.
Lei è stata la prima a parlare di anoressia nella letteratura vent’anni fa, se parlarne è un modo per cominciare ad affrontare le spetta quindi sicuramente un grande merito. Come mai ha sentito il bisogno di ritornare?
Quando ho scritto Briciole non immaginavo che avrebbe avuto un simile successo, soprattutto non più bricioleperché ancora dopo vent’uno anni è ancora in libreria. E’ stato un bestseller ed è un homeseller, io stessa mi stupisco di trovarlo ancora in libreria. Non pensavo di scrivere ancora qualcosa sull’anoressia, quest’idea è venuta fuori da una conversazione con il direttore editoriale della Longanesi, ed io ho cominciato a unire i fili e ho visto quanto, anche se in realtà me ne ero già accorta, l’anoressia era diventata protagonisti di un circo mediatico e che in questo protagonismo si era popolato un circo di cialtroni. La mamma del libro, Marta, dice ‘’ Andando su Internet ho scoperto che gli esperti di studi alimentari sono più numerosi dei tifosi del calcio’’ usando una metafora. Ho cercato di portare un po’ d’ordine. Perché è stata terribile questa cosa. E’ la prima volta che viene data voce alle mamme.
Cosa è cambiato in questi anni da quando è uscito Briciole?
Nella malattia niente; nella forma della malattia. Sono cambiate cose perché si è abbassata l’età, si è allargato il range: prima era magari solo circoscritta all’adolescenza o poco più. L’anoressia è la malattia mentale con il più alto tasso di mortalità fra le malattie della mente. Quello che è successo in questi anni è che si è popolato di ciarlatani. Se uno parla di giornali, di scarpe o di borse è un conto ma se si parla di vita o morte è un altro.
Una curiosità, ma sono così poco sensibili gli psicologi che si offrono di aiutare chi soffre?
No, ce ne sono di bravissimi. Ce ne sono tanti, quello che io vorrei è che si facesse uno screeming: sono cresciuti come funghi i centri che si occupano dell’anoressia. Vogliamo andare a verificare la percentuale di guarigione? 
Se ne parla abbastanza di questa malattia a livello sociale delle istituzioni?
Se ne parla molto a sproposito. Ho recentemente scoperto una cosa che non sapevo, il ministro Lorenzin ha messo su una commissione per questo, me lo ha riferito proprio una psichiatra chiamata a lavorarvici. Speriamo siano buoni segnali. Il problema è capire che chi sta male non riesce a distinguere chi è buono da chi è cattivo. A mia mamma se dicono che è una mamma coccodrillo o pattumiera va dai carabinieri per denunciarli. Ma non tutte le mamme hanno la stessa energia.
Quale messaggio vorrebbe lasciare ai suoi lettori?
Tutto quello di cui abbiamo parlato fino adesso. Lasciare un criterio di scelta. Per esempio uno banale è se in un centro di recupero troviamo tutti psicologi io qualche dubbio me lo porrei. Nel centro di cui parlavo prima in positivo ci sono psichiatri, medici e psicologi; nel libro c’è una figura molto positiva di una psicologa. Ci vuole una multifunzionalità e un equilibrio. Se fossero tutti psicologi io mi preoccuperei, così come se fossero tutti psichiatri. Questo è un buon criterio quello di andare a verificare gli staff di questi centri scientifici. E poi cercare di aiutare a decifrare, diffiderei da chi parla di madre coccodrillo o da chi dà unicamente farmaci. Secondo me curare questa malattia solo con i farmaci è un po’ riduttivo perché è molto complessa. Quindi ci sono i farmaci, la nutrizionista, lo psicologo. I centri che funzionano meglio sono equilibrati in tutte le figure.

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Riccardo Barbagallo

Lavoro da qualche anno nell'editoria, mi occupo di comunicazione per editori e autori e sono un digital addicted. Al contrario di altri, non mi posso definire un lettore da sempre, 'La coscienza di Zeno' in prima media è stato un trauma troppo forte da superare per proseguire serenamente la relazione con la lettura. Più avanti ho deciso di leggere un libro per piacere, e non per obbligo, ed è stato lì che ho capito quale sia la vera forza della lettura: la capacità di emozionare. Credo che sia questo il segreto, se così possiamo definirlo. Non ho più smesso.

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